Sulla violenza contro le donne, disgraziatamente per l’ultimo efferato omicidio di Giulia, si è scritto molto ma mai troppo poco perché non possono mai bastare gli aggettivi negativi che ci fornisce la lingua italiana per qualificare tali violenze e, ancor peggio, i femminicidi. Sventuratamente, nonostante il giusto peso mediatico, non sarà l’ultimo episodio nefasto.
I numeri sono impietosi e danno un’immagine fortemente negativa di un fenomeno che in questi ultimi anni sta emergendo in forma più che preoccupante. Facciamoci tutti una domanda. Rappresenta un fenomeno nuovo? Non di certo. Tutti rammentiamo il vecchio film “La Ciociara”, magistralmente interpretato da Sophia Loren. Ebbene molte donne subirono la sventura descritta nel film di Vittorio De Sica, tratto da un libro di Alberto Moravia. Molte sfortunate donne subirono una violenza inaudita ma delle molte solo pochissime ebbero il coraggio di denunciare l’accaduto alle Forze di Polizia. Paura, vergogna ed altro prevalsero sul desiderio di giustizia (forse neanche credevano nella giustizia). Sono passati quasi ottanta anni, erano altri tempi quando le donne erano considerate poco o nulla.
Oggi finalmente, da alcuni anni, il coraggio di denunciare è emerso fragorosamente. Molto demoralizzante constatare che la violenza contro le donne non è appannaggio del passato, di vecchie generazioni con modelli culturali superati, ma viene perpetrata anche da giovani. Non è confinato in categorie sociali o culturali particolari ma tristemente diffuso. Alcune gang di ragazze giovanissime usano metodi violenti ed intimidatori verso coetanee e questo ancor di più fa rammaricare tutti.
Doverosamente si debbono trovare rimedi efficaci contro questi numeri sconcertanti, senza considerare quelli non rilevabili in quanto non denunciati, che non sono pochi. Prima di tutto l’avvio di specifiche norme più repressive si spera abbia un impatto positivo ma si sa che la pena non è mai così certa e non è un deterrente valido per chi delinque. Altrimenti la solo stesura di un Codice Penale dovrebbe eliminare i reati.
L’arma migliore, ma anche quella più a lungo termine, è quella culturale. Educare il cittadino, sin da bambino, al rifiuto della violenza di genere ha tempi non brevi. Si tratta di un investimento generazionale e correggere chi è già permeato di una cultura della violenza è affare complesso.
Nel frattempo non si può attendere la crescita delle nuove generazioni, l’improbabile effetto deterrenza o la rieducazione di chi è intriso di una cultura violenta dettata da enne motivi che ben si conoscono.
Un appello va rivolto alle donne, a tutte le potenziali vittime. L’appello è quello di essere prudenti nei contatti, specie con chi si è manifestato con comportamenti violenti o con chi si incontra occasionalmente. Prudenza è diffidare a priori di tutto e tutti, soprattutto di chi chiede continui incontri per chiarire. Alla fine non si accontenta più delle parole ed i rifiuti generano il passaggio alla violenza fisica, alle menomazioni permanenti od all’omicidio.
Due le parole d’ordine per tutte: diffidenza e prudenza per poter limitare i rischi. Non si azzerano ma si possono attenuare.