Sembra quantomeno singolare parlare di tramonto del “desiderio” proprio sotto Natale, la festività per eccellenza deputata a esaudire l’improvviso proliferare di tutte le nostre richieste… eppure a uno sguardo attento è proprio questo uno dei problemi di fondo delle nostre società: la mancanza di desideri nel senso etimologico del termine, dal latino de-sidere, mancanza di stelle. In pratica, la mancanza della mancanza, scusando il gioco di parole.
Il desiderio infatti, è necessariamente figlio di una mancanza, di qualcosa che non abbiamo, sia esso materiale o immateriale: desideriamo una macchina nuova, un lavoro più remunerativo o motivante, un partner più attento, un figlio più responsabile, un carattere meno impulsivo, una maggiore competenza e così via. In ogni caso la mancanza ci attiva e determina l’energia che investiamo per colmarla, in misura proporzionale al valore che diamo all’oggetto del nostro desiderio. Quando è estrema, questa energia si traduce in passione, dal latino passio, sofferenza, ma anche dal greco pathos, che indica sia un senso di sofferenza sia una forte emozione. Riassumendo: la mancanza genera desiderio, che a sua volta genera passione, dunque emozione e sofferenza. Desiderio, mancanza e sofferenza sono quindi strutturalmente inscindibili e mutualmente influenti. Non possiamo coltivare il desiderio se non coltiviamo la capacità di stare nella mancanza e di sostenere la sofferenza (passione) che questo crea in noi.
ORA, SECONDO VOI, TUTTO QUESTO È REALMENTE POSSIBILE OGGI?
In una società “bulimica”, dove avidità e ingordigia colmano ogni carenza, dove la fretta di avere “tutto e subito” prevale sulla capacità di aspettare, di sostenere la frustrazione di una mancanza, SIAMO DAVVERO CAPACI DI “DESIDERARE”?
Ho l’impressione che i desideri non siano più veri desideri, sui quali investire tempo e passione, ma siano più spesso “capricci”, da soddisfare seguendo l’impulso del momento, trasformando così la passione in compulsione, l’energia creativa in energia distruttiva. Con la complicità di adulti a loro volta incapaci di sostenere un conflitto generazionale mettendo limiti ai desiderata dei ragazzi, e di una società dei consumi che ha fatto dell’anticipazione del desiderio il suo mantra, siamo praticamente incapaci di sostenere l’attesa e la conseguente “sofferenza” che quello spazio d’incertezza produce.
Allargando ulteriormente il campo di osservazione, ci rendiamo dunque conto che ciò che davvero manca sono i LIMITI, quei limiti che servono a definire il perimetro della nostra identità distinguendoci gli uni dagli altri, il perimetro dei nostri diritti nel rispetto dei diritti altrui, il perimetro delle nostre possibilità rispetto al contesto e alle nostre capacità. I limiti, siano essi oggettivi o soggettivi, definiscono il campo di oscillazione dei nostri desideri e determinano i criteri mediante i quali effettuiamo le nostre scelte. Senza limiti, non riusciamo a capire su cosa desideriamo impegnarci e diventiamo incapaci di scegliere, perché non abbiamo i criteri per farlo; senza criteri, l’infinita molteplicità di opzioni disponibili, anziché essere una risorsa, diventa paradossalmente una gabbia (invisibile) nella quale non siamo più in grado di scegliere consapevolmente CHI vogliamo essere e PER COSA valga la pena di impegnarsi… da cui una latente mancanza di senso del vivere che pare dilagare sottotraccia.
Ricapitolando, la società dei consumi, ipermoderna, liquida e tecnologica, ha idolatrato la facilità e la velocità come valori assoluti, con ciò indebolendo i presupposti psichici per coltivare i desideri, la passione e la capacità di scegliere in base a criteri significativi. Viziati dalla pretesa incontenibile di poter avere tutto e subito, evitando la fatica della scelta e il dolore della rinuncia (cioè la “seccatura” del decidere), divoriamo esperienze e relazioni come in un fast-food esistenziale: con il palato psichico assuefatto all’iperstimolazione di esperienze prêt-à-porter, stiamo perdendo la capacità di distinguere le sfumature, di intuire per cosa valga la pena aspettare e cosa viceversa possa essere tranquillamente lasciato andare. Le scelte, quindi, non sembrano più tarate sul desiderio di realizzare un sogno, un progetto di vita, ma sull’impulso del momento, sul capriccio di chi, per la “noia” del non avere “mancanze” (cioè, desideri) e in assenza di uno scopo di vita ispiratore, riempie per così dire il tempo di attività e obiettivi, più o meno utili o sensati, talvolta decisamente dannosi ma che comunque, il più delle volte, non lasciano alcuna scia di Valore attorno a sé.
Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e delle infinite possibilità a portata di “clic”, sembriamo dunque procedere senza meta, come travolti dalla corrente delle opportunità e in costante rincorsa di un tempo che sembra non bastare mai. Affannati nel timore di “perderci qualcosa” d’importante (F.O.M.O. Fear of Missing Out), sembriamo aver perso la capacità di osservare l’altro con attenzione, di ascoltare con cura noi stessi e il momento presente, di aspettare il momento ‘giusto’ (kairos), di desiderare. Il tempo sembra scivolarci tra le dita e ci sentiamo incapaci di “fermarlo”, perché tutto attorno a noi sembra procedere speditamente in qualche direzione, non necessariamente la nostra…
COME POSSIAMO ARGINARE QUESTA ESONDAZIONE?
Se anche non possiamo fermare l’avanzamento tecnologico, la globalizzazione o il tempo convenzionale scandito dall’orologio, possiamo sempre scegliere l’atteggiamento e i comportamenti da adottare. Possiamo definire i nostri personali argini spazio temporali all’esondazione delle opportunità: possiamo ridurre il nostro campo d’osservazione rispetto a criteri che decidiamo noi e possiamo rallentare la nostra percezione soggettiva del tempo prestando cura e attenzione a ciò che accade dentro e fuori di noi.
Solo su queste basi saremo in grado di restituire il giusto tempo al desiderio, nutrire la passione e recuperare la capacità di ascoltare, creando Valore tutt’intorno. E questo credo sia il più bel regalo di Natale che ci possiamo fare!