Un secolo di vita è un traguardo ragguardevole per qualunque business, in particolare per uno basato sulla capacità di intrattenere le persone.
La Walt Disney Company, che quest’anno festeggia i cento anni dalla sua fondazione, rappresenta nell’immaginario collettivo il gold standard di questo tipo di impresa, capace di infilare un successo dietro l’altro in ambiti differenziati, ma convergenti: parchi a tema, film, merchandise, giocattoli.
Tutto ruota intorno al semplice concetto di soddisfare il bisogno delle proprie audience obiettivo di sfuggire per qualche ora alla quotidianità, ed immergersi in un mondo fantastico di propria scelta. Che si preferiscano principi e principesse, supereroi o imperi stellari, archeologi avventurosi o sentimenti umanizzati, Disney – come lo zio preferito da bambini – ha sempre avuto la capacità di tirare fuori dalla tasca della giacca una nuova meraviglia, che ci lasciasse stupiti ed affascinati.
Per la Disney, raccontare storie è sempre stato un business di successo, portandola costantemente ad essere tra le cinque compagnie più ammirate a livello mondiale, prima tra quelle dedicate all’intrattenimento. Un dominio che le ha consentito di avere a disposizione risorse finanziarie sufficienti ad acquisire alcuni dei brand di maggior successo nell’ambito della narrazione fantastica, su tutti le franchise Star Wars e Marvel.
A giudicare dai risultati economici e di Borsa degli ultimi tempi, tuttavia, qualcosa sembra essersi rotto nel rapporto tra l’azienda e i propri utenti.
Esaminando le prestazioni delle sue azioni, infatti, è evidente che dopo aver raggiunto un massimo di quasi 200 dollari per azione nel luglio 2021, nello spazio di poco più di due anni il valore delle stesse si sia dimezzato, scendendo sotto i 100 dollari per azione.
Prendendo in considerazione quali possano essere le cause di questo fenomeno, si nota innanzitutto che i parchi a tema – da sempre uno degli asset strategici fondamentali della Disney – hanno ultimamente registrato una performance deludente, in particolare in corrispondenza del sempre affollato weekend del 4 luglio. In una recente intervista al The New York Times Annual DealBook Summit, evento rimasto peraltro iconico per la reazione di Elon Musk alla minaccia degli investitori, tra cui la Disney, di ritirare la propria spesa pubblicitaria dalla piattaforma X, il CEO di Disney Bob Iger ha attribuito l’abbandono dei parchi a tema ad un supposto strascico del COVID. Una tesi difficile da condividere, alla luce del fatto che dopo la flessione del 2020 e il parziale recupero del 2021, la spesa per attività ricreative ha fatto segnare il valore massimo di tutti i tempi, proseguendo il trend di crescita pre-pandemia.
Passando all’esame delle performance della parte cinematografica del business, i dati del box office non sono confortanti.
Guardando la classifica dei film Disney di tutti i tempi, l’unico film del 2023 che abbia ottenuto un qualche successo è stato il terzo episodio dei Guardiani della Galassia, un franchise amato e considerato, che si posiziona comunque al 35° posto. Per ritrovarne un altro, bisogna scendere al 55° posto con la riedizione in live action de La sirenetta. L’ultimo episodio di Indiana Jones è all’85° posto; The Marvels – nelle intenzioni una specie di Avengers tutto al femminile – al 143°; e per trovare quello che avrebbe dovuto essere il film di Natale, Wish, bisogna scendere al 187° posto. Quest’ultimo ha fatturato a livello mondiale un totale di circa 290 milioni di dollari – per confronto il celeberrimo Frozen, paradigma del film di Natale, ha fatturato circa due miliardi di dollari. Per comprendere la dimensione dell’insuccesso, Wish è nel 2023 al 44° posto dei film dell’anno, e The Marvels al 33°, in una classifica dominata dai miliardari successi di Barbie, Super Mario Bros ed Oppenheimer, dove i Guardiani della Galassia è al 4° posto.
Uscendo dalla dimensione dei ricavi ed entrando in quella del ritorno dell’investimento, Wish è il film di animazione più costoso di sempre, circa 200 milioni di dollari. The Marvels è costato 274 milioni di dollari, e il suo fatturato di circa 400 milioni di dollari lo indica come il peggior flop della storia del Marvel Cinematic Universe.
Passando infine alla performance di Disney+, il servizio di streaming che ospita tutti i contenuti mai prodotti da The House of Mouse, nel Q4 2023 si è attestato intorno ai 150 milioni di utenti, dato di per sé positivo, ma che segna un decremento di circa 14 milioni di utenti rispetto allo stesso quarter dell’anno precedente.
In buona sostanza, la performance complessiva della Disney in quanto Media & Entertainment company è in netto decremento, in un mercato complessivo che invece mostra una decisa tendenza del pubblico a consumare più occasioni di divertimento ed evasione.
Una legge fondamentale del business è quella secondo cui un andamento negativo in un mercato in crescita è segno di una netta difformità tra ciò che l’azienda vende ed i bisogni dei suoi clienti potenziali. E dato che il bisogno fondamentale soddisfatto dalle aziende di intrattenimento è quello dell’evasione, il problema sta nel prodotto, vale a dire nel contenuto.
Affermatasi come azienda di intrattenimento per le famiglie con bambini, secondo alcuni commentatori il problema risiederebbe nel fatto che Disney negli ultimi anni ha preso posizione in polemiche politiche, abbracciando l’ideologia woke che, secondo quanto ammesso dagli stessi leader della compagnia in occasione di un recente filing presso la SEC, “ha prodotto un disallineamento con i gusti e le preferenze del pubblico e dei consumatori”.
Comunque la si pensi, un dato appare evidente: i risultati di queste decisioni non premiano, ed anzi penalizzano fortemente la Disney, il cui CEO Bob Iger è chiamato a ricostruire un posizionamento che riporti l’azienda al suo valore originario. Compito di grande difficoltà, tenendo presente che questo significa riorientare la cultura aziendale e rifocalizzare o sostituire il management che negli ultimi dieci anni ha contribuito a costruirla.