Alberto Moravia, nel suo ultimo romanzo, 1934 (Bompiani, 1982), descrive Evno Azev come “un uomo basso, tozzo, tarchiato, con una faccia gialla, baffi neri a spazzola, grosse labbra tumide, grosso naso schiacciato, orecchie a sventola. Un uomo per niente attraente con l’aspetto del sensale di bestiame o del commerciante di cereali”.
Evno Azev è stato un personaggio enigmatico e, per alcuni versi, geniale. Nato nel 1869 a Lyskovo, nella Russia europea, da un povero sarto ebreo, visse da protagonista gli anni che precedettero la rivoluzione del 1905. In tanti dicevano di lui che, coi suoi occhi grossi come due olive nere, riuscisse ad attrarre l’attenzione degli interlocutori fino a leggerne i pensieri.
Azev era un ingegnere in elettrotecnica che, spinto dall’avidità e da una non comune capacità di simulazione, diventò il capo della Sezione di combattimento del Partito Socialista Rivoluzionario russo e, contemporaneamente, il principale informatore dell’Ochrana di Pietroburgo, la polizia segreta dello Zar.
Corrado Augias ha scritto di lui: “La sua genialità fu nell’aver capito in modo irrimediabile, traendo da questo ogni possibile frutto, che ogni movimento terrorista è sempre provocatorio, è sempre infiltrato di delatori, è sempre manovrato, magari alla lontana, da finanziatori occulti che si propongono tutt’altri scopi da quelli che i terroristi credono di perseguire”.
Azev riuscì a muoversi con disinvoltura in questo intreccio di interessi contrapposti, e talora convergenti, conservando il suo profilo pubblico, per il Partito Socialista Rivoluzionario, e assumendo quello di Raskine, come informatore segreto della polizia dello Zar.
Si rese presto conto che – nel terrorismo come in qualsiasi forma di spionaggio – la tessitura di un inganno doppio moltiplica le possibilità di raggiro e dunque di potere e di guadagno. E così fece, costellando la sua vita di aumenti di stipendio, quale informatore della polizia, e di progressioni di carriera, all’interno del movimento rivoluzionario.
Forniva e ometteva informazioni, a seconda delle sue personali strategie, ingannando ora la polizia ora i terroristi e mietendo vittime in entrambi gli schieramenti.
Tra le imprese di questo straordinario doppio agente figurano l’attentato in cui rimase ucciso il Ministro dell’Interno dello Zar, Venceslao Pleve (28 luglio 1904, Pietroburgo) e l’arresto del capo della Sezione di Combattimento Gregorio Ghersciuni (nel 1903 alla stazione di Kiev), del quale Azev prese il posto, assumendo la direzione di un piccolo esercito clandestino e soprattutto acquisendo la disponibilità dei ricchi fondi segreti che arrivavano dal Giappone.
Quale capo della Sezione di Combattimento, fu presente alle riunioni dei capi del terrorismo russo ovunque si tenessero: Berlino, Berna, Ginevra, Parigi, e così venne a conoscenza della rete terroristica e della pianificazione degli attentati.
Fece così arrestare gli studenti russi all’estero appartenenti al Circolo Rivoluzionario di Karlsruhe; smantellare una tipografia clandestina a Tomsk; creò ovunque circoli rivoluzionari, attingendo dalle sacche di marginalizzazione sociale, e li riempì di agenti della polizia e di provocatori; fece fallire l’attentato contro il Generale Trepov, capo della polizia di Mosca, e portò a compimento l’assassinio del Granduca Sergio (4 febbraio 1905).
Altra grande intuizione di Azev fu quella di considerare superato l’impiego delle rivoltelle negli attentati. Ordinò, pertanto, l’uso di cariche esplosive imbottite di dinamite, lanciate contro gli obiettivi prestabiliti. Tale innovazione si rivelò così efficace da essere adottata anche all’estero.
Grazie alla sua intelligente ambiguità, ottenne sia le felicitazioni dei rivoluzionari sia quelle della polizia fino al 1908, quando inizia a emergere qualche sospetto nella mente di Vladimir Burzev, il capo del Servizio di Controspionaggio e Sicurezza del Partito Socialista Rivoluzionario, poi confermato dal rinvenimento di un verbale di denuncia di uno studente firmato da Azev.
Alla fine di ottobre del 1908 a Parigi, la Corte del Comitato Centrale era già pronta a giudicarlo ma Azev non si presenta alle varie udienze. Alle 3 del mattino del 6 gennaio 1909 racconta a sua moglie Anna di dover partire per Vienna.
Anche questa è una finzione: si reca in un villaggio nei pressi di Colonia, in Germania, a casa di Heddi, una sua amante. E, come se non bastasse, qualche giorno prima, si è fatto liquidare dalla polizia dello Zar, in decine di migliaia di rubli, i 15 anni e 7 mesi di servizio da informatore. Continuerà a girare l’Europa, fino al 24 aprile del 1918, quando, all’età di 49 anni, morirà in un ospedale di Berlino.