Con questo articolo iniziamo un viaggio tra alcuni fatti di cronaca nera che hanno imperversato sui giornali per la loro crudezza ed efferatezza. Un tuffo nell’oscurità che riporterà alla luce fatti che forse non sono mai stati dimenticati. Il primo capitolo di questo viaggio parte da un quartiere di Roma che diventa il palcoscenico di uno dei crimini più inquietanti della sua storia.
Pietro De Negri, noto come il “Canaro della Magliana,” commette un omicidio così brutale da lasciare l’intera comunità inorridita.
Nel dicembre del 1988, un noto quartiere di Roma diventa il palcoscenico di uno dei crimini più efferati della sua storia criminale. Pietro De Negri, un toelettatore di cani conosciuto come il “Canaro della Magliana”, entra negli annali della cronaca nera per l’omicidio brutale di Giancarlo Ricci, un evento che ancora oggi solleva interrogativi inquietanti.
È una fredda serata invernale, all’interno del suo negozio di toelettatura, De Negri attira Ricci, un ex pugile ben noto nel quartiere. Quello che segue è un orrore al di là di ogni immaginazione. De Negri sottopone Ricci a ore di tortura indicibili, un tormento che culmina con la morte della vittima. La ferocia dell’attacco è così estrema da lasciare l’intera comunità in uno stato di shock. Ricci viene picchiato, legato e torturato con una violenza al limite della follia.
Dopo aver commesso l’omicidio, De Negri viene arrestato. È il 21 febbraio e Rino Monaco, capo della squadra mobile di Roma, dichiara che “non ci è voluto molto tempo per farlo confessare”. Aggiunge che De Negri aveva raccontato l’omicidio “come se leggesse un copione, esaltandosi” e che “sembrava di stare in un teatro di prosa…
Nei giorni successivi, emergono nuovi dettagli dai giornali con virgolettati di De Negri: “Volevo far rassomigliare la sua faccia a quella di un cane e così gli ho anche tagliato le orecchie come facevo ai dobermann. Sembrava uno zombie. Non moriva mai. Alla fine, esasperato, gli ho aperto la bocca con una chiave inglese, rompendogli i denti, e l’ho soffocato mettendogli dentro tutto quello che gli avevo amputato. Poi l’ho portato tra i rifiuti, dove si meritava, e gli ho dato fuoco.”
Ma non è tutto. De Negri continua dichiarando: “Sentivo il desiderio di smontarlo, continuavo a parlargli e m’incazzavo perché era già morto e continuavo a infamarlo. Di tanto in tanto gli sferravo calci addosso… Ancora oggi sono convinto che lo rismonterei di nuovo tutto. Non nego che sto a posto con la mia coscienza. Ritengo che solo chi ha conosciuto il Ricci Giancarlo o chi ne ha subito oltraggio, possano capire il mio stato d’animo, le mie emozioni che m’hanno portato al mio diabolico gesto… L’incubo era finalmente finito. Invece dovevo riscontrare che era appena cominciato. Quell’infame non moriva mai. Continuava a respirare. È stata dura”. Senza mostrare alcuna forma di pentimento conclude dicendo: “Ma se rinascessi lo rifarei. Il cadavere di quello zombie avrei voluto portarlo in piazza per mettere sopra un cartello grosso come una casa con la scritta: ‘Ed ecco qua l’ex pugile!’. Non sono pazzo; ho compiuto quel massacro per amore di giustizia e sono pronto a rifarlo… non solo mi sono vendicato delle angherie subite, ma ho liberato il quartiere da un infame… Prendevo cocaina per farmi coraggio, ma ero e sono lucidissimo. Sono un uomo e sono disposto a pagare il mio debito con la giustizia. Se qualche perizia mi dovesse dare torto, mi ucciderò. Comunque adesso alla Magliana staranno tutti festeggiando.”
Questi terribili dettagli rivelano la profondità della follia e della brutalità che hanno caratterizzato questo orribile crimine, lasciando un segno indelebile nella storia criminale di Roma.
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Dopo aver commesso l’omicidio, De Negri adotta metodi macabri per disfarsi del corpo. In una scena che ricorda i romanzi più oscuri, smembra il corpo di Ricci, tentando di eliminare ogni traccia del suo crimine con le fiamme. Tuttavia, il destino ha altri piani; alcuni resti vengono scoperti, innescando un’indagine che porterà gli investigatori direttamente alla porta di De Negri.
Gli inquirenti, seguendo le tracce lasciate dal “Canaro”, ricostruiscono la sequenza degli eventi. La confessione di De Negri, che parla di una vendetta personale, solleva un velo su un crimine che sembra nascere da un odio profondo e da un desiderio di giustizia personale. Tuttavia, gli elementi di eccessiva brutalità e le circostanze insolite dell’omicidio alimentano teorie più complesse. Alcuni iniziano a sospettare che De Negri possa essere stato coinvolto in qualcosa di più grande di una semplice vendetta, forse legato alle faide e ai sotterranei della criminalità romana.
Il caso del “Canaro” diventa un emblema di misteri irrisolti e di storie celate nelle pieghe della società. Nonostante la condanna di De Negri, molte domande rimangono senza risposta, lasciando aperta la possibilità di verità nascoste e di connessioni mai completamente esplorate.
Il 26 ottobre 2005, Pietro De Negri “il canaro della Magliana” esce dal carcere. Condannato a 24 anni di reclusione ne sconta solo 16 su decisione del tribunale di Sorveglianza di Roma presieduto da Pietro Canevelli. De Negri viene affidato ai servizi sociali. In particolare, non potrà uscire di casa prima delle 7 e dopo le 21; non potrà frequentare luoghi di ritrovo come le osterie e le bische e non potrà frequentare pregiudicati.