Oggi, nel giorno dei “fidanzati”, festeggia chi vede ricambiati i propri sentimenti e a volte cerca di far pace chi ha visto sbriciolarsi i propri sogni d’amore.
Sono gli istanti in cui i meno fortunati si trovano nell’imbarazzo della scelta su cosa portare con sé per sortire l’effetto desiderato. Un mazzo di fiori o un caricatore zeppo di cartucce?
Qualcuno ieri ha subito scartato la possibilità di presentarsi con un vassoio di pasticcini, una bottiglia di “bollicine” o una confezione del profumo preferito dalla fanciulla che ha chiuso la relazione. Del bouquet manco a parlarne.
Così il tizio bussa alla porta di casa della famiglia della ragazza. E’ apparentemente a mani vuote, forse per fare una sorpresa.
Non un’esplosione di gioia, ma quella di un’arma da fuoco.
Non un colpo di scena, ma una raffica di proiettili è stata la miglior espressione per mostrare quanto fosse forte la propria passione.
Nemmeno il più fantasioso ed iperbolico scrittore di noir sarebbe capace di descrivere una scena del genere. L’incombenza del 14 febbraio in quel momento distante solo poche ore, riporta il calendario indietro di novantacinque anni in quella strage di San Valentino nella Chicago del proibizionismo. Il protagonista non è Sam Giancana e con lui non ci sono gli altri quattro sicari. Non siamo nell’autorimessa al numero 1122 di North Clark Street e destinatario della visita non è il terribile George “Bugs” Moran, boss irlandese del traffico clandestino di alcolici.
Non ci separa certo l’oceano da quello che vorremmo fosse soltanto un set cinematografico, magari quello di Roger Corman. Ci troviamo in una villetta qualunque alla periferia di Cisterna di Latina.
Il killer non è (o forse non lo è fino a quel momento) un criminale. La pistola non ha la matricola abrasa e non è stata comprata nei loschi ambienti popolati da incalliti delinquenti. Non viene abbandonata sul luogo del delitto come la letteratura e la cronaca ci hanno quasi sempre lasciato intendere.
Il personaggio che ha mostrato il truce “coraggio” di uccidere due donne inermi non ha nemmeno la forza di togliersi la vita. Non completa così una narrazione cui nel tempo ci siamo abituati con il ricorrente infermo di mente che compie un gesto estremo senza escludersi dalla cruenta autoeliminazione.
I giornali parlano di un bullo, di un “latin lover” o “sciupafemmine”, di persona probabilmente abituata a vivere sopra le righe. Si immaginano le solite chiacchiere, fatte per riempire le pagine dei giornali o per fertilizzare programmi televisivi come Ore14 di Rai Due che fanno grondare il sangue sullo schermo delle casalinghe.
Non c’è bisogno di un identikit. L’assassino ha un nome e un cognome, che non merita di essere riportato perché non ne sia perpetuata la memoria in alcuna maniera, perché sia scritto solo nelle carte processuali e in quelle della detenzione speriamo eterna.
Il violento – ma nemmeno gli eufemismi escono bene dal calamaio di chi scrive – non è un balordo qualunque scappato dai fotogrammi di “Gomorra”. E’ una persona che normalmente indossa i panni di un sottufficiale di una Forza di Polizia, che vive ed opera in una organizzazione cui la gente mette in mano la propria sicurezza e le più recondite speranze di un futuro migliore.
La pistola automatica adoperata è quella d’ordinanza, assegnata per compiti istituzionali e corredata dai pedanti insegnamenti sull’uso legittimo delle armi, pesante non per il ferro ma per le responsabilità che le sono legate, destinata a difendere e non ad uccidere senza pietà.
Il personaggio ha una sua storia e ne verrà romanzata un’altra. I suoi trascorsi sono noti ai superiori gerarchici che annualmente hanno redatto le cosiddette “note caratteristiche”, indicando con minuziosa precisione ogni elemento descrittivo della personalità e dell’impegno lavorativo. Sarebbe curioso leggere quei documenti che sono la radiografia dell’interessato e costituiscono la base delle valutazioni per la sua progressione di carriera…
Possibile mai che nessuno abbia rilevato una latente eccessiva aggressività in un individuo che gira armato anche fuori servizio? Nelle sette o otto ore quotidianamente trascorse in attività operativa o semplicemente a bordo della stessa motovedetta, non ci sono stati segnali di “qualcosa” che non andava?
Potremmo snocciolare altre mille domande, ma ne facciamo un’ultima soltanto. Possiamo stare tranquilli se in mezzo a chi ci dovrebbe tutelare ci sono anche soggetti capaci di queste bestiali efferatezze?