Una canzone di Fabrizio De Andrè, la famosa Don Raffaè, in una strofa dice: “Prima pagina, venti notizie, ventuno ingiustizie e lo Stato che fa, si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”
Non si vuole certo richiamare l’attenzione sullo Stato inteso solo come Governo ma richiamare l’attenzione sullo Stato inteso come cittadini e Governo. Quali sono le due, ma non sono certamente le sole, pessime realtà? Sono due punte di tanti iceberg: la violenza sulle donne e le morti nei luoghi lavoro.
In ambedue i casi vi è un fervore mediatico forte, continuo per uno o più giorni, poi si torna alla triste conta matematica sia dei decessi per violenza sulla donna, sia dei morti nei luoghi di lavoro.
Non tutte le donne vittime di violenza hanno gli stessi onori delle cronache. Alcuni femminicidi vengono citati per un giorno, massimo due, altri si prolungano per molti giorni. Il dolore dei congiunti è sempre uguale e l’efferatezza del reato è sempre la stessa. Quello che varia è l’impatto mediatico o la speculazione dei media o, peggio, in alcuni casi il voler scendere nel racconto di feroci dettagli o cercare di trovare radici nei comportamenti sostituendosi a studiosi della psiche umana od agli investigatori. Pare che il gusto del macabro annidi in alcune trasmissioni, meglio non fare nomi.
Perché un femminicidio, a volte plurimo, è più o meno degno di essere citato per più giorni ed altri no? Sicuramente più sono giovani le vittime, maggiore è il turbamento ma la violenza non è giustificabile in rapporto all’età della vittima. Pensiamo a quando sono brutalmente uccisi anche bambini, ovvero i figli!
Le ragioni sono tante ma a decidere sono i media, non certo le vittime od i loro familiari, amici ed altri. Si sentono fare domande che fanno nutrire forti dubbi sulle capacità e facoltà dell’intervistatore. Lei come si sente? Cosa prova? Ed altre simili. Ci sarebbe da rispondere: lo saprà se lo proverà ma non le auguro di saperlo mai.
Ugualmente la diffusa piaga sociale delle morti nei luoghi lavoro rattrista quasi quotidianamente i nostri animi. Il lavoro è un diritto di tutti. L’articolo 1 della Costituzione, nelle sue prime parole, recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Non pare ci siano dubbi sulle parole. La normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, principalmente, si fonda sui seguenti Decreti Legislativi: n. 626/1994, n. 81/2008, n. 106/2009.
Certamente esiste l’imprevedibile in tutti i campi ma nelle morti sui luoghi di lavoro gli incidenti sono troppi. Sembra che l’imprevedibile sia la routine. Parafrasando ed estrapolando le famose parole del Presidente della Repubblica pro tempore Oscar Luigi Scalfaro, tutti dovrebbero dire: “Io, non ci sto. Io sento il dovere di non starci …. Non ci sto”. Le parole furono pronunciate in tutt’altro contesto ma ben si adeguano al rifiuto del dilagare delle morti sul lavoro. Tutti non dovrebbero starci.
Femminicidi e morti nei luoghi di lavoro sono due piaghe, due pessime realtà, nel senso che ormai se ne sentono troppe ed in questi casi si rischia l’assuefazione. Dovere di tutti è di reagire e di non abituarsi ad efferati delitti o ad incidenti tanto dolorosi quanto prevedibili per noncuranze e totale dispregio dei minimi principi di sicurezza sul lavoro. Talvolta sono anche lavoratori che periscono per trascuratezza o leggerezza nelle proprie aziende, senza responsabilità di terzi. Non si può nasconderlo ma la mancanza di cultura della sicurezza, volontaria o colposa, ne è la radice e la causa.
Sui femminicidi grava un falso senso dell’amore che uccide invece di proteggere; sulle morti nei luoghi di lavoro intricati sistemi di subappalti, lavoro nero, sfruttamento, non rispetto delle misure di sicurezza, prevalentemente nei cantieri, ed altro. Non facciamoci scivolare addosso due pessime realtà. Non si può pensare che il dolore appartenga solo agli altri.