L’antisemitismo è un fenomeno insidioso che continua a minacciare la nostra società, nonostante gli sforzi per contrastarlo. La sua persistenza è una testimonianza della profonda radice di pregiudizio e odio che ancora affligge il mondo moderno. Pertanto, è cruciale comprendere l’importanza di combattere attivamente l’antisemitismo in tutte le sue forme.
L’adozione della definizione di antisemitismo elaborata nel 2016 dagli Stati membri dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) e tra questi l’Italia, è un passo significativo verso questo obiettivo. Tale definizione fornisce un quadro chiaro per identificare e affrontare le manifestazioni di antisemitismo, sia nei discorsi pubblici che nelle azioni concrete.
È essenziale promuovere una cultura di rispetto, tolleranza e comprensione reciproca, in cui l’odio e il pregiudizio non abbiano spazio; così come è importante riconoscere che l’antisemitismo è spesso intrecciato con altre forme di discriminazione e odio, come il razzismo, la xenofobia e l’islamofobia. Pertanto, è determinante affrontare tutte queste forme di discriminazione con determinazione e coerenza, lavorando insieme per costruire una società più inclusiva e rispettosa per tutti i suoi membri.
Dall’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre scorso, si registra ovunque un clima di forti contrasti sociali: le recenti proteste e le manifestazioni negli Stati Uniti ed in Europa chiedono ad entrambe le fazioni il cessate il fuoco soprattutto per tutelare la popolazione palestinese ridotta allo stremo. In molti paesi le organizzazioni degli studenti universitari stanno conducendo proteste simili al movimento sorto contro la guerra del Vietnam. La critica contro gli attacchi di Israele e il rifiuto di consentire l’erogazione degli aiuti umanitari a Gaza è cresciuta; tuttavia, sembrerebbe che i sostenitori delle azioni militari israeliane usino campagne di censura per silenziare giornalisti e attivisti dei diritti umani.
Le dichiarazioni IHRA di Stoccolma 2000 e Bruxelles 2020 hanno certamente motivato la presentazione della recente proposta legislativa nr. 1004 del 2024 presentata dai senatori Massimiliano Romeo (LSP-PSd’Az) Daisy Pirovano (LSO-PSd’Az) e Giorgio Maria Bergesio (LSO-PSd’Az) volta a combattere l’antisemitismo in Italia, che ha scatenato un acceso dibattito sul bilanciamento tra sicurezza e libertà fondamentali. Fin dal primo articolo, al comma 2 è scritto: La presente legge, in attuazione della risoluzione sulla lotta contro l’antisemitismo 2017/2692 (RSP) del Parlamento europeo, del 1° giugno 2017, adotta la definizione operativa di antisemitismo formulata dall’Assemblea plenaria dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (International Holocaust Remembrance Alliance – IHRA) il 26 maggio 2016, ivi inclusi i relativi indicatori, necessari ai fini dell’applicazione della legge medesima. Ai sensi della definizione operativa di cui al periodo precedente, per antisemitismo si intende una determinata percezione degli Ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti, le cui manifestazioni, di natura verbale o fisica, sono dirette verso le persone ebree e non ebree, i loro beni, le istituzioni della comunità e i luoghi di culto ebraici.
Al centro della questione vi è l’introduzione di un sistema di monitoraggio degli episodi di antisemitismo attraverso la creazione di una banca dati regolamentata direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, come previsto dall’art 2 e seguenti.
Questa proposta, che richiama i controversi Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) utilizzati durante la pandemia, solleva preoccupazioni riguardo alla definizione di “atti incidentali”, che potrebbe essere troppo vaga e allargare eccessivamente la rete delle condotte considerate riprovevoli.
Inoltre, il disegno di legge si estende a una maggiore regolamentazione dei contenuti online, consentendo al Presidente del Consiglio di censurare i social media e altre piattaforme internet per contenuti ritenuti antisemiti. Questo solleva serie preoccupazioni riguardo alla libertà di espressione e al potenziale controllo eccessivo da parte delle autorità su ciò che può essere detto online.
Un altro aspetto controverso della proposta è l’articolo 3, che modifica il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), consentendo al Questore di negare l’autorizzazione a riunioni e manifestazioni sulla base di un vago “grave rischio potenziale” legato all’uso di simboli o messaggi considerati antisemiti. Questo rappresenta un allontanamento significativo dal principio di libera riunione garantito dall’articolo 17 della Costituzione, introducendo un livello di discrezionalità che potrebbe limitare le proteste, in particolare quelle pro-Palestina o critiche nei confronti del sionismo.
In questo contesto, sorge una domanda cruciale: cosa può fare il cittadino di fronte a tali possibili sviluppi? In primis una risposta potrebbe provenire dal Presidente della Repubblica con il rifiuto di promulgare la legge, rinviandola alle Camere. Tuttavia, se il Parlamento approva nuovamente la legge, il Capo dello Stato è obbligato a promulgarla.
Altra soluzione potrebbe essere quella di sollecitare un intervento della Corte costituzionale per valutare la legittimità della legge, qualora venisse promulgata. Questo percorso potrebbe portare alla cancellazione parziale della normativa se fosse considerata in contrasto con i principi fondamentali della Repubblica.
Numerosi sono i Paesi, entro e fuori l’Unione Europea, che hanno adeguato i rispettivi ordinamenti alle indicazioni dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto, e anche l’Italia si appresta ad introdurre nel proprio ordinamento alcuni importanti cambiamenti, con un tempismo discutibile perché avverrebbero in un momento storico così delicato ove il conflitto tra Israele e Palestina ha acceso troppi riflettori sugli aspetti meno edificanti di una strategia difensiva che il governo israeliano, contestato ampiamente dalla stessa popolazione ebraica, sta ponendo in essere, lasciando ampi spazi alla critica non solo filopalestinese.