Seconda puntata. Continuiamo a occuparci delle promesse mancate della democrazia. Mettetevi comodi, è richiesta attenzione perché sono temi “importanti”. Vale la pena occuparsene. Hanno a che fare con le nostre libertà.
Riapriamo il saggio di Norberto Bobbio “Il Futuro della Democrazia”. Che bella la carta, sempre disponibile. Colleghiamoci con Copilot -anche le intelligenze artificiali sono sempre disponibili purché ci sia elettricità e un collegamento alla rete- e passiamo alla seconda promessa mancata della Democrazia ovvero quella che riguarda gli interessi di parte che la democrazia non solo non è riuscita a sconfiggere, ma che hanno finito per prevalere sui principi politici.
Scrive Bobbio: “La democrazia moderna, nata come democrazia rappresentativa in contrapposizione alla democrazia degli antichi, avrebbe dovuto essere caratterizzata dalla rappresentanza politica, cioè da una forma di rappresentanza in cui il rappresentante, essendo chiamato a perseguire gli interessi della nazione, non può essere soggetto a un mandato vincolato.
Il principio su cui si fonda la rappresentanza politica è l’esatta antitesi di quella su cui si fonda la rappresentanza degli interessi, in cui il rappresentante, dovendo perseguire gli interessi particolari del rappresentato, è soggetto a un mandato vincolato (proprio nel contratto di diritto privato che prevede la revoca per eccesso di mandato).”
Bobbio dixit… Opportuno approfondire i concetti di base presenti nella sua analisi. Procedendo con ordine, il primo che si incontra è quello di “rappresentanza politica”. Per comprenderlo meglio, chiediamo all’ottimo Copilot che ci presenta aspetti da esplorare.
Il termine “rappresentanza” deriva dal verbo latino arcaico “re-ad-praesentàre“, che significa “rendere presenti cose passate o lontane”. In senso più ampio, rappresentare significa esporre, sia fisicamente, sia mentalmente, figure o fatti. Nel greco antico, il termine “μορφóω” (morphoo) è correlato al concetto di “dar forma a” o “rappresentare”.
Nelle antiche Grecia e Roma, il concetto di rappresentanza politica non esisteva. Il popolo partecipava direttamente al governo in materia legislativa e giudiziaria. L’esecuzione del potere pubblico veniva delegata a cittadini (i “magistrati”) secondo la volontà popolare. La nozione di rappresentanza politica nasce nel Medioevo con le istituzioni parlamentari.
Dal punto di vista giuridico, la rappresentanza può essere individuale o collettiva, di interessi o di volontà, organica o soggettiva, legale o volontaria. La “rappresentanza politica mista” combina elementi autoritari e democratici, consentendo al rappresentante politico di rispettare o meno le promesse elettorali.
La rappresentanza politica è elemento essenziale nelle forme di governo democratico. Due sono le modalità di rappresentanza: implicita ed esplicita.
La rappresentanza implicita è inerente a tutti gli istituti politici moderni. Si basa sulla partecipazione diretta dei cittadini attraverso elezioni e sulla delega del potere pubblico a rappresentanti eletti.
La rappresentanza esplicita riguarda specificamente le camere elettive, come il Parlamento italiano. Deriva da un atto espresso e formale, ovvero l’elezione dei rappresentanti.
In sintesi, conclude Copilot, la rappresentanza politica è il meccanismo attraverso il quale i cittadini trasmettono formalmente il potere a coloro che agiscono in loro nome per dare contenuto al comando politico. Si verifica quando una persona agisce non in proprio nome, ma a nome e nell’interesse di altri o della collettività.
In altre parole, gli organi dello stato moderno operano in rappresentanza, non per interesse personale, ma per conto della società. Questo concetto si applica a tutti i poteri dello Stato, non solo agli organi elettivi. Infatti, contrariamente a quanto si pensa spesso, la rappresentanza politica non è strettamente legata alle elezioni: è diffusa in tutto l’organismo dello stato moderno, non solo negli organi elettivi. Ad esempio, gli organi della giustizia e delle finanze sono anch’essi rappresentativi, anche se non sono soggetti a elezioni.
La rappresentanza politica offre diversi vantaggi all’interno di un sistema democratico.
In primo luogo, la presenza di rappresentanti eletti conferisce legittimità alle decisioni prese dal governo e se uno di essi viene sostituito, il sistema continua a funzionare senza interruzioni significative, aumentandone così la stabilità.
Poi, i rappresentanti eletti agiscono come intermediari tra il popolo e le istituzioni, portando avanti le richieste e le preoccupazioni dei loro elettori che possono così far sentire la propria voce e influenzare le decisioni del governo. Se non soddisfano le aspettative o agiscono in modo non etico, gli elettori possono esprimere il loro dissenso attraverso il voto alle elezioni successive.
Delegare l’autorità decisionale a un gruppo di rappresentanti, accelera il processo decisionale. Infine, questi rappresentanti politici, se hanno competenze specifiche e conoscenze approfondite in vari settori, sono in grado di prendere decisioni informate su questioni complesse, come l’economia, la sanità o l’ambiente.
A dire il vero, quest’ultima affermazione oggi è perlomeno dubbia…
In sintesi, l’espressione dei desideri del popolo, l’efficienza decisionale, la competenza e specializzazione, la stabilità e continuità, la responsabilità e la legittimità sono i vantaggi della rappresentanza politica, pilastro fondamentale della democrazia, consentendo una governance efficace, responsabile e inclusiva, assicurando che gli interessi della collettività siano adeguatamente rappresentati e tutelati.
Grazie Copilot della sintesi.
Il secondo concetto di base presente nell’analisi di Bobbio riguarda il mandato imperativo, concetto giuridico collegato alla rappresentanza che si applica sia nel diritto civile che nel diritto costituzionale.
Nel diritto civile, il mandato imperativo implica che il rappresentante (ad esempio, un avvocato o un agente) debba agire secondo le istruzioni ricevute dal mandante (la persona che lo ha incaricato di agire in suo nome e per suo conto). In altre parole, il rappresentante è vincolato a seguire le direttive del mandante. Questo principio si applica in situazioni come la gestione di affari legali o finanziari.
Nel diritto costituzionale, il mandato imperativo riguarda coloro che entrano a far parte di un organo collegiale (ad esempio, un parlamento o un consiglio comunale). Esso impone ai membri di tale organo di attenersi alle istruzioni ricevute da coloro che li hanno nominati.
Nella costituzione italiana, l’articolo 67 vieta esplicitamente il mandato imperativo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Riassumendo, mentre il mandato imperativo richiede che il rappresentante segua le istruzioni del mandante, il divieto di mandato imperativo stabilisce che i parlamentari non siano vincolati da alcun mandato e rappresentino la nazione e non i propri elettori.
La realtà italiana è ben diversa dalla teoria fin qui presentata. La rappresentanza politica è spesso distorta dagli interessi particolari e la piena espressione della volontà collettiva è ancora un obiettivo da raggiungere.
Scrive Bobbio:
“Mai norma costituzionale è stata più violata del divieto di mandato imperativo, mai principio è stato più disatteso di quello della rappresentanza politica. Ma in una società composta di gruppi relativamente autonomi che lottano per la loro supremazia, per far valere i propri interessi contro altri gruppi, una tale norma, un tale principio, potevano mai trovare attuazione? A parte il fatto che ogni gruppo tende a identificare l’interesse nazionale con l’interesse del proprio gruppo, esiste un qualche criterio generale che possa permettere di distinguere l’interesse generale dall’interesse particolare di questo o quel gruppo o dalla combinazione di interessi particolari di gruppi che si accordano tra loro a dispetto di altri? Chi rappresenta interessi particolari ha sempre un mandato imperativo. E dove possiamo trovare un rappresentante che non rappresenta interessi particolari? Certamente non nei sindacati, dai quali peraltro dipende la stipulazione di accordi, come sono gli accordi nazionali sull’organizzazione e sul costo del lavoro, che hanno un’enorme rilevanza politica. Nel Parlamento? Ma che cosa rappresenta la disciplina di partito se non una aperta violazione del divieto di mandato imperativo? Coloro che talvolta sfuggono dalla disciplina di partito, approfittando del voto segreto, non sono forse bollati come “franchi tiratori”, cioè come reprobi da additare alla pubblica riprovazione? Il divieto di mandato imperativo, oltretutto, è una regola senza sanzione. Anzi, l’unica sanzione temibile per il deputato la cui rielezione dipende dal sostegno del partito è quella che viene dalla trasgressione della regola opposta che gli impone di considerarsi vincolato al mandato che dal proprio partito ha ricevuto.
Una riprova della rivincita, oserei dire definitiva, della rappresentanza degl’interessi sulla rappresentanza politica è il tipo di rapporto che si è avvenuto instaurando nella maggior parte degli Stati democratici europei tra i grandi gruppi di interessi contrapposti (rappresentanti rispettivamente degli industriali e degli operai) e il Parlamento, un rapporto che ha dato ruolo a un nuovo tipo di sistema sociale che è stato chiamato, a torto o a ragione, neocorporativo. Tale sistema è caratterizzato da un rapporto triangolare in cui il governo, idealmente rappresentante degli interessi nazionali, interviene unicamente come mediatore tra le parti sociali e tutt’al più come garante (generalmente impotente) dell’osservanza dell’accordo. Coloro che hanno elaborato, circa dieci anni fa, questo modello, che oggi è al centro del dibattito sulle “trasformazioni” della democrazia, hanno definito la società neocorporativa come una forma di soluzione dei conflitti sociali che si serve di una procedura, quella dell’accordo fra grandi organizzazioni, che non ha niente a che vedere con la rappresentanza politica, ed è invece un’espressione tipica di rappresentanza degl’interessi.”
Grazie Bobbio per avere fornito, già nel 1984, gli elementi per capire quanto sia ancora lontana la pratica dalla teoria, quanto la loro distanza continui a crescere, quanto si sia allungata, nei tempi recenti, la strada da percorrere.
In Italia non esiste autentica “rappresentanza politica”, ma piuttosto una “rappresentanza degli interessi”. La sovranità degli individui viene spesso espropriata dal pluralismo dei corpi intermedi e dei gruppi di interesse, il cui obiettivo, spesso, è rifarsi verginità perdute e ricostruire credibilità evaporate.
La rappresentanza politica, che dovrebbe agire nell’interesse collettivo, viene schiacciata dalla rappresentanza degli interessi particolari delle oligarchie ancora presenti. Gli interessi individuali non sono bilanciati con quelli collettivi.
“Molte strutture non sono state democratizzate, come la burocrazia, le forze armate, le scuole, le fabbriche”, scrive Bobbio.
I padri costituzionali l’avevano pensata giusta. La realizzazione delle loro idee lascia molto a desiderare.