Purtroppo non si parla della famosa canzone di Gino Paoli ma dei morti senza fine che l’italico panorama ci offre quasi quotidianamente. Ogni volta tutti si indignano, chiedono giustizia, sono contriti, esprimono vicinanza ai feriti e condoglianze ai familiari di chi ha perso la vita.
In pratica una nobile gara per esternare solidarietà e sostenere che si porrà fine a tante ingiuste morti in tempi brevissimi. Sentimenti che, talvolta, giungono tardivi e flebili rispetto alle morti. Generalmente costoro sono impotenti nei fatti.
Parliamo dei decessi sul lavoro e dei femminicidi. Si parte dai primi, non perché più importanti ma solo per motivi temporali. A Suviana sono morte tre persone, cinque i feriti gravi e quattro i dispersi. Le speranze di trovare vivi i dispersi sono oggettivamente pressoché nulle. Certo, come si dice, la speranza è l’ultima a morire ma la realtà è ben più cruda.
A Firenze, a metà febbraio scorso, in un cantiere per la realizzazione di un supermercato della Esselunga (non è il marchio che conta), perirono cinque operai e tre rimasero feriti. Una trave precipitò per dodici metri rovinando su un solaio. Al di là dei dettagli tecnici, rimane la tristezza, lo sconcerto, il dolore e quanto dei sentimenti umani si può percepire in questi casi. I familiari delle vittime hanno ben altro da piangere e, generalmente, rimangono soli sia sul tragico lato degli affetti, sia su quello materiale perché all’unanime cordoglio spesso non segue un vero risarcimento economico per il futuro.
Le morti sul lavoro sono una triste e costante realtà contro la quale nessuna norma è sinora riuscita a scalfire la gravità dei numeri. In Italia manca una cultura della prevenzione e della sicurezza sul lavoro, ma anche in generale della sicurezza.
Sicuramente esistono le fatalità ma più che di fatalità queste, purtroppo, sono costanti. Senza andare indietro nel tempo sia nel 2022, sia nel 2023 i decessi hanno superato abbondantemente il numero di mille ogni anno. Mediamente quasi tre al giorno, praticamente una progressiva strage.
Sul fronte dei femminicidi i numeri non sono certo confortanti. Sempre nel 2022 e nel 2023 sono stati oltre cento, quasi uno ogni tre giorni.
Sia per i morti sul lavoro, a meno che non si tratti di casi particolarmente eclatanti, come Suviana e Firenze, solo per citare gli ultimi in ordine di tempo, sia per i femminicidi, non si fa in tempo a metabolizzare l’evento che subito ne accade un altro che spazza via il precedente. I familiari delle vittime non possono rimuovere il dolore, come il comune cittadino, per la nuova funesta notizia.
Sarebbe ora di dire BASTA, BASTA, BASTA. Non nascondiamoci dietro un dito: per i femminicidi si dovrà sconfiggere la violenza legata ad aspetti culturali difficili da estirpare in tempi brevi. Educare il cittadino, sin da bambino, al rifiuto della violenza di genere ha tempi lunghi. Si tratta di un investimento generazionale e correggere chi è già impregnato di una cultura violenta è affare complesso.
Unico strumento è quello preventivo che passa, necessariamente, tra le mani delle potenziali vittime che debbono diffidare ed essere prudenti oltre ogni possibile negativa previsione. Prima di debellare una violenza culturale, alla quale ben poco fa il Codice Penale, uniche vie sono diffidenza e prevenzione. Sono le sole “parole d’ordine” che quotidianamente ogni donna deve ripetersi se ha avanti a sé un uomo potenzialmente in balìa della violenza culturale. Sicuramente i femminicidi non scompariranno improvvisamente ma si potrebbero limitare.
Ben altro discorso è quello delle morti sul lavoro dove andrebbero rigidamente applicate le norme, evitati i sistemi tolleranti di subappalti plurimi, a cascata, come le scatole cinesi. Il meccanismo dei subappalti crea oscurità e favorisce il lavoro nero e le infiltrazioni mafiose. I profitti dei subappaltatori, con ribassi inimmaginabili, si riducono e la riduzione corre parallela alla minore sicurezza, producendo morti sul lavoro, lavoro troppo spesso al nero. Tutto ciò è inaccettabile, siamo al Medio Evo della sicurezza. Invece di intensificare ed effettuare maggiori e più stringenti controlli si sono allargate le maglie del Codice degli Appalti. Occorre evitare di chiamarli problemi burocratici da snellire; si dovrebbero penalizzare, anziché depenalizzare, i comportamenti criminogeni.