Allo scoppio della Grande Guerra l’Imperatore d’Austria-Ungheria chiese a Papa Pio X (1903-1914) di benedire il suo esercito. Il Pontefice rispose: “Io benedico la pace”. Prima di morire, in agosto, rivolse un appello accorato in favore della pace. Papa Benedetto XV (1914-1922) sintetizzò il male della guerra definendola, con le famose parole: “inutile strage”.
Non tutti concordano sull’attribuzione: “suicidio dell’Europa civile”. Per la sua posizione contro il conflitto subì moltissimi attacchi, soprattutto poiché non si schierò, benché pressato da opposte correnti nella Curia. Sconfortato, fedele al principio dell’amore fraterno e della pace, affermò: “la guerra esisterà sin quando esisterà l’umana cupidigia” (la “libido dominandi” di Sant’Agostino).
Don Luigi Sturzo (1871-1959) rifiutava la guerra ed il diritto di guerra auspicando una pace mondiale basata su nuove fondamenta, in contrasto con “Civiltà Cattolica” che ancora vagheggiava un mitico Medio Evo sotto la benedizione ed il coordinamento papale.
Tra le due guerre mondiali apparve chiaro che un eventuale conflitto, atteso lo sviluppo degli armamenti sempre più distruttivi, rendeva vana la teoria di una guerra condotta sulla base dell’etica cristiana.
Durante Seconda Guerra Mondiale Papa Pacelli si astenne da ogni giudizio lanciando solo appelli alla pace. Non approvò od incoraggiò l’attacco alla Russia, non disapprovò l’invasione della Polonia. L’avversione verso il comunismo di Pio XII era nota ma la Chiesa non poteva appoggiare nessuna delle parti in lotta. Alti rappresentanti del clero – cattolico e protestante – elevarono le loro voci contro i totalitarismi ed il nazismo.
I silenzi contro le brutalità, il riserbo, o forse le reticenze, suscitarono perplessità e reazioni anche nella Curia romana. Rimane enigmatico il suo silenzio. Può essere attribuito ad una voluta imparzialità della Chiesa nella guerra, ad un possibile ruolo di mediazione al termine del conflitto, al timore che la sconfitta tedesca generasse un’espansione del comunismo in Europa, ad un senso realistico di impotenza dei suoi interventi in campo internazionale.
Papa Pio XII nel 1948 dichiarò che il cristiano non può sempre rimanere indifferente e spettatore. Nel 1955, riferendosi all’uso dell’arma atomica, affermò che la bomba atomica poteva essere strumento bellico “con limiti chiari e rigidi al suo impiego e in conseguenza di un delitto straordinario”. Nel 1956, quando venne invasa l’Ungheria, Pio XII sostenne di avere evitato di “chiamare la cristianità ad una crociata” per reagire ad una guerra ingiusta mossa dagli “odiatori di Dio”. Nel 1958 ribadì: “la Chiesa è lontana dall’ammettere che la guerra sia sempre condannabile”. Parole che vanno inquadrate nel contesto della guerra fredda.
L’idea di “guerra giusta” non era ancora stata cancellata dalla dottrina papale e definita legittima “quando i beni supremi della umana convivenza erano minacciati da una ingiusta aggressione”.
Nel 1963 Papa Giovanni XXIII (1958-1963) promulgò l’enciclica “Pacem in terris” che riscosse plauso anche tra i non credenti Pur essendo contro il comunismo non volle considerarla una “Crociata” e presentò il Concilio Ecumenico Vaticano II (convocato nel gennaio 1959) come “produttore di pace”, destinato ad esaltate “nelle forme più sacre e solenni le applicazioni più profonde della fraternità”.
La sua esortazione “ai Capi di Stato perché facciano tutto quanto è in loro potere per salvare la pace” e “continuino a trattare” fu, quasi certamente determinante, nel 1962, in occasione della crisi di Cuba per scongiurare una guerra nucleare. Il paragrafo 667 della “Pacem in terris”, afferma che nell’età atomica “bellum alienum a ratione” (la guerra è irragionevole).
Se Paolo VI (1963-1978) definì la guerra “assurda ed inaccettabile” e, nel 1965, all’ONU, affermò: “mai più guerra”. Nel 1973 definì la guerra “la fine di ogni civiltà” e, poi, “come la civiltà è riuscita a bandire in linea di principio la schiavitù, l’analfabetismo, le caste sociali, così bisogna riuscire a bandire la guerra”.
Il Concilio Vaticano II sancì: “ogni azione che tenda indistintamente alla distruzione di città intere e di ampie regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e deve essere condannata fermamente e senza esitazione”.
Nel 1963 Papa Montini portò a termine il Concilio Vaticano II e, nel 1967, promulgò l’Enciclica “Populorum Progressio” dove si affermava: “sviluppo è il nuovo nome della pace” e pronunciava una prima, seppur timida, apertura all’obiezione di coscienza.
Di pari passo, in molti Paesi, si sviluppavano i movimenti cristiani per la pace, supportati anche da ampie parti del clero; l’idea di accostare la parola guerra al disegno divino diveniva ripugnante, soprattutto definirla “santa”. Il rifiuto della guerra e della violenza si facevano sempre più sentire chiaramente.
Giovanni Paolo II (1978-2005), strenuo difensore delle libertà, in particolare quella religiosa nel blocco dell’Est, segnatamente nella sua cattolica Polonia, nel 1982, accennava ad una guerra giusta riconducibile al diritto/dovere dei popoli di proteggere la loro esistenza e la loro libertà “con l’uso dei mezzi appropriati”. Mesi dopo evidenziava l’opportunità di “una deterrenza fondata sull’equilibrio non certo fine a sé stesso ma come tappa al disarmo progressivo”. Nell’Enciclica “Centesimus annus” (1991) Papa Wojtyla individua la causa dei conflitti nel “il disprezzo di Dio”. Giustizia sociale e rispetto dei diritti umani contribuivano al contenimento dei conflitti.
Gli appelli alla pace ed a fermare l’odio (dall’interpretazione errata dei dettami religiosi al terrorismo) si sono fatti sempre più forti con gli ultimi due Pontefici: Papa Benedetto XVI (2005-2013) e, soprattutto, con Papa Francesco (dal 2013) che non tralascia occasione per rivolgere appelli alla pace ed alla fratellanza universali.
Sembrerebbe che il passaggio dallo stato di natura alla società e, poi, dal paganesimo al cristianesimo, che proponeva una convivenza sull’amore tra gli “uomini di buona volontà”, non abbiano scardinato quello che Sant’Agostino definì la fame di potenza (libido dominandi), ovvero la tendenza all’aggressione ed alla distruzione insita nell’uomo.
In estrema sintesi i passaggi fondamentali a supporto della bellicosità nel cristianesimo sono stati quelli dell’identificazione del martire con il soldato e, poi, quella del martire con il soldato di Cristo; la visione duplice della “fides”: verso la religione e verso l’impero; l’idea della “dilatatio imperii Christi”, concomitante all’espansione temporale della Chiesa. La dimensione spirituale del Papato contro ogni guerra si è affermata, soprattutto, da Papa Giovanni XXXIII in poi, senza nulla togliere a molti suoi predecessori.
Ci si augura non avesse ragione il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), illuminista e precursore dell’idealismo, quando affermava: “Lo stato di pace tra gli uomini non è uno stato naturale il quale è piuttosto uno stato di guerra”. Non era un giudizio morale ma una constatazione storica.