Si chiama Dmitry Yuryevich Khoroshev e certamente questo dice poco. Il suo nickname è – o meglio era – “LockBitSupp” e anche questo non sembra suscitare emozioni. Anche l’altro suo nome di battaglia “Putinkrab” lascia intendere chi sia il suo datore di lavoro ma non regala brividi particolari.
Ma se si dice che è il capo supremo della più temuta banda di mercenari del crimine informatico, forse anche chi non è appassionato di queste cose si rende facilmente conto che stiamo per parlare di un pezzo da novanta.
Un attimo. Prima di continuare chiediamoci cosa sia il “pezzo da novanta”, confuso non di rado con un proiettile d’artiglieria di grande calibro. In realtà – secondo quel che scrive lo storico Michele Pantaleone (in “Mafia e politica” edito da Einaudi non in questi giorni ma nel 1962…) – è “il più grosso petardo di ferro, alto 26 cm, che veniva sparato nelle feste a conclusione dei giochi di fuochi e degli spari dei mortaretti”. Il termine parlando di moderno crimine organizzato potremmo dire che proviene dalla …tradizione.
Torniamo a Dmitry e alla sua gang.
Per avere idea della caratura del personaggio si fa presto ad elencare alcune delle sue più significative imprese.
Ha depredato la multinazionale della consulenza Accenture portandosi via informazioni critiche presumibilmente avvalendosi della collaborazione di un “insider”. Ha trafitto il Servizio Postale nazionale francese e ha seminato il panico in decine e decine di organizzazioni d’oltralpe, non facendo sconti nemmeno agli ospedali.
Ha messo in ginocchio due volte nel giro di pochi mesi il colosso delle tecnologie Thales e la seconda volta – invece di pretendere il consueto succulento riscatto – ha deciso di pubblicare quasi 10 gigabyte di dati riservati relativi a contratti in Italia e in Malesia. Ha fatto tribolare la grande azienda di pneumatici Continental esibendosi in una performance di spionaggio industriale a dir poco drammatica.
Ha saputo spaziare dall’Ospedale pediatrico di Toronto ai Porti di Lisbona e di Nagoya in Giappone, dall’industria aeronautica Boeing a parecchie banche cinesi dimostrando di esser capace di colpire qualunque bersaglio senza distinzioni di carattere merceologico o geografico.
Dalle nostre parti ha calpestato i sistemi informatici della Regione Lazio e della multiservizi della Capitale ACEA, ha bloccato le “macchine” di Westpole “appiedando” oltre mille amministrazioni pubbliche locali italiane che ne sfruttavano i servizi hi-tech, ha fatto danni alle aziende sanitarie di Messina e di Padova. La lista potrebbe continuare ma forse è il casi di accontentarci di questo “assaggio”.
Il numero uno della più efferata organizzazione hacker adesso è nel mirino dei bounty killer digitali, speranzosi di aggiudicarsi i 10 milioni di dollari di taglia, ma è molto improbabile che venga acciuffato e soprattutto che la Russia (dove si nasconde) conceda mai l’estradizione.
Negli Stati Uniti le istituzioni – per aver contezza dell’effettivo numero di attacchi portati a termine da Lockbit – hanno addirittura messo online un modulo per consentire alle vittime di segnalare ogni dettaglio delle loro disavventure. L’archivio che ne verrà fuori è destinato a raccogliere un quadro desolante della situazione anche se molti – per evitare danni di immagine – eviteranno di denunciare l’attacco subito…
Khoroshev nei mari di Internet è l’equivalente di Sir Francis Drake, anche lui pirata diventato corsaro per la Corona d’Inghilterra. Per il Cremlino le imprese del trentunenne Dmitry non sono seconde a quelle di Yuri Gagarin.
L’hacker ha solcato i mari della Rete arrembando e saccheggiando i vascelli avversari. Si è mosso nel cyberspazio compiendo missioni incomparabili, molte delle quali non sono mai state rese note e larga parte di queste andate a segno senza che la vittima si sia mai accorta di nulla.
Quanti bersagli dalle nostre parti sono stati zombificati e non sanno di avere al loro interno corpi estranei pronti improvvisamente a prender vita e a scatenare l’inferno?