L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa non ha catturato l’attenzione della collettività degli utenti “normali”.
I pirati informatici, invece, hanno capito di potersene servire per migliorare l’efficienza e l’efficacia delle loro attività criminali.
Anche se il concetto di sfruttamento di Internet completamente autonomo e guidato dall’intelligenza artificiale non è ancora una realtà, ci sono chiari segnali che si stanno facendo significativi e preoccupanti progressi, in particolare negli attacchi informatici come lo spear-phishing e l’intramontabile social engineering.
I pregiudizi si fanno sentire nelle discussioni sull’intelligenza artificiale, ma è evidente che la sfida alla sicurezza dell’intelligenza artificiale è una questione da non sottovalutare.
La preoccupazione maggiore risiede nelle potenziali minacce poste dall’intelligenza artificiale, in particolare in termini di punti di integrazione tra questa modalità innovativa e i processi organizzativi esistenti. Spaventa come il ritmo rapido con cui le organizzazioni stanno adottando le tecnologie di intelligenza artificiale ha spesso portato a considerevoli sviste in quella che dovrebbe essere una ponderata valutazione di questi punti di integrazione e dei rischi che risultano associati.
Se i “cattivi” non esitano a servirsi di nuovi strumenti per andare a segno su falle e problemi fin troppo noti, sul fronte di chi dovrebbe difendersi giocano a sfavore la fretta di fare e la pressione ad implementare con la massima rapidità qualcosa che sia basato sull’intelligenza artificiale e che dimostri di essere al passo con i tempi.
Si dimentica, ed è molto grave, che la velocità è il nemico naturale della sicurezza. E poi se ne paga il prezzo, spesso più salato di quanto si potesse prevedere…
Si potrebbe canticchiare il ritornello “Quanta fretta, ma dove corri?” di Edoardo Bennato o forse sarebbe opportuno semplicemente premere il tasto “pausa” ed agire dopo una breve riflessione.