Devo essere sincero. Ho pensato che fosse un “fake”. Ho immaginato che il comunicato stampa fosse una provocazione.
Mi sono sbagliato.
La presa di posizione del Comando Generale dell’Arma sul “caso Mori” è condensata in poche righe.
“Appresa la notizia dell’avviso di garanzia, con invito a comparire per rendere interrogatorio in qualità di indagato, nei confronti del generale Mario Mori, nel pieno rispetto del lavoro dell’autorità giudiziaria, l’Arma dei Carabinieri esprime la sua vicinanza nei confronti di un ufficiale che, con il suo servizio, ha reso lustro all’istituzione in Italia e all’estero, confidando che anche in questa circostanza riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati”.
Nonostante si legga “nel pieno rispetto del lavoro dell’autorità giudiziaria”, lo scontro tra due Istituzioni è lampante. Il comunicato stampa incrina – a mio avviso – il rapporto tra la magistratura e una fetta della polizia giudiziaria e costituisce un nitido fotogramma della cronaca di un Paese in evidente carenza di valori e di orientamento.
Il coro di approvazioni e di “finalmente” per l’inusuale iniziativa è la conferma di una instabile condizione di salute della democrazia. La delegittimazione popolare degli organi inquirenti è un segnale non entusiasmante per il futuro di un’Italia ogni giorno più povera e confusa.
Ci si augura sempre il benevolo “riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati”, ma forse è il caso che non sia il vertice di una Forza Armata a formulare per iscritto un simile vaticinio.
La vicinanza – umanamente comprensibile – non la si esprime in questa maniera insinuando il “rispettoso” dubbio che chi indaga stia sbagliando e soffiando sul fuoco della immaginata persecuzione mirata nei confronti di “un ufficiale che, con il suo servizio, ha reso lustro all’istituzione in Italia e all’estero”.
Un simile intervento è o sembra voler essere la spada di Brenno, quella del “Vae victis”, in un momento in cui anche un ipovedente scorge benissimo uno scontro tra la politica e le toghe, in una fase storica in cui le Procure stanno faticosamente cercando di non fermarsi pur affannate per carenza di risorse umane, tecniche e finanziarie.
La spallata che arriva da Viale Romania fa traballare non solo l’indagine di Firenze, ma rischia di riverberarsi su tanti altri procedimenti che evidenziano un plateale marciume di cui la gente non obnubilata dai giochi di fazione è profondamente disgustata.
Chi ha suggerito questa mossa non pensi di aver fatto “scacco matto”, beandosi del suscitato entusiasmo degli “ultras” che solitamente inneggiano al giustizialismo ma addebitano presunti pregiudizi quando l’indagato merita “vicinanza”. Si pensi al “quisque de populo” e al suo sbandamento nell’assistere a questo formalmente garbato contrasto.
Non siamo allo stadio. La giustizia farà il suo corso. Lasciamoglielo fare.