Cosa è la polemologia?
La polemologia, come molti termini (in particolare scientifici) della nostra lingua, deriva dal greco antico. La parola la greca “polemos” indicava la guerra contro i nemici esterni: i “barbari”, tali erano considerati i non greci. Per indicare i conflitti interni, cioè la guerra civile tra le città greche (la polis era la città-Stato), veniva usato il lemma “stasis”.
La polemologia è, pertanto, lo studio delle guerre non sotto l’aspetto strategico-militare bensì, prevalentemente, sotto quello sociologico. La polemologia include fattori politici, economici, statistici, demografici ed ideologici. Il suo studio, e l’introduzione del termine nel mondo scientifico, è opera di uno studioso francese che, all’inizio degli anni quaranta del XX secolo, avviò gli studi di tale disciplina. Gaston Bouthoul (1896-1980), sostanzialmente un erudito, è stato un sociologo ma anche demografo, antropologo, economista e storico del pensiero politico.
Dall’inizio degli anni trenta cominciò a studiare il “fenomeno guerra” analizzando le serie storiche belliche di Francia, Gran Bretagna e Grecia antica. Annotò un ritmo secolare dei mutamenti della popolazione ed un pari insorgere di conflitti su larga scala negli stessi archi temporali. Tali guerre ricorrevano in parallelo alla crescita della curva demografica.
I conflitti più limitati avevano un ritmo ogni 30/40 anni, corrispondenti, più o meno, ad una generazione. Al fine di non circoscrivere ai soli aspetti demografico ed economico, Bouthoul allargò gli studi a quelli psicologico, etnico e sociale. Sulla scia delle sue ricerche sorsero istituti di studio sulla polemologia, oltre che in Francia, in vari Stati europei (Italia, Germania, Belgio e Spagna).
Sua peculiarità fu anche quella di creare una serie di espressioni di grande efficacia. Tra di essi si possono ricordare: “l’infanticidio differito” (il grande numero di giovani caduti nella Pima Guerra Mondiale) od il “quarto settore” (riferito al comparto economico dedicato alle attività degli armamenti distruttivi, settore che esula dalla tripartizione economica classica). Con la morte dello studioso si è assistito ad un eclissamento degli studi polemologici.
Demografia e guerra. Aspetti polemologici
Per Bouthoul la guerra è un fenomeno che ha sempre affiancato la storia; la definisce “il più immediatamente percepibile fra tutti i fenomeni sociali”. Per lo studioso la polemologia è una “sociologia scientifica delle guerre”, da distinguere sia dalla “scienza delle guerre”, propria delle Accademie Militari, sia dall’irenologia la quale, in quanto studio dei presupposti della pace è maggiormente indirizzata alla prevenzione delle guerre.
Nella polemologia si configura l’indagine sull’aggressività collettiva che conduce alla violenza fisica, escludendo ogni forma di rivalità non inquadrabile nella violenza fisica. Per capire il “fenomeno bellico” si deve risalire ai “fattori polemologici”, ovvero le interconnessioni esistenti tra le forme di violenza collettiva e gli aspetti economici, culturali, psicologici, antropologici ma soprattutto demografici. Lo scopo principale era quello di smitizzare la guerra per ricondurla ad argomentazioni che non la sacralizzassero, fattore che aveva condotto alle due guerre mondiali, propagandate come “momento della verità dei popoli”.
Allo stesso tempo contrastò sia quello che definiva “illusionismo giuridico”, ovvero l’idea che il diritto internazionale fosse in grado di proibire “de iure” i conflitti, sia il pacifismo sic et simpliciter, di per sé incapace di impedire le guerre. Il conflitto armato è “una manifestazione febbrile di alcuni squilibri sociali” i quali produrrebbero nella psiche dell’uomo lo sviluppo di idee e manifestazioni che lo spingerebbero ad atteggiamenti aggressivi definiti “impulso bellicoso”.
Il Bouthoul individua nella demografia uno dei fattori primari dello squilibrio: la preponderanza di giovani nella società provoca, tendenzialmente, l’impulso bellicoso generando quella che egli definisce la “struttura esplosiva” determinata dallo scarso assorbimento nell’economia produttiva delle classi anagraficamente più giovani. Il fenomeno si manifesta mediante “migrazioni di gruppo” e “spedizioni bellicose”.
Questi aspetti sono, prevalentemente, correlati a particolari momenti storici nei quali si manifestano diffusione di particolari ideologie, infatuazioni temporanee, inclinazioni politiche e capacità tecniche sviluppate. Una simile propensione alla bellicosità viene indirizzata verso una guerra civile, una crociata, un’emigrazione di massa od una guerra di conquista.
Nei grandi Stati lo studioso individua tre costanti che in alcuni periodi hanno prodotto le guerre (si riferisce, prevalentemente, alla Francia napoleonica, alla Germania ed al Giappone imperiali e, ovviamente, alla Germania hitleriana). I tre elementi sono identificati in:
- Popolazione totale comparativamente numerosa;
- Piramide anagrafica con grande proporzione di uomini giovani;
- Alta capacità tecnica ed industriale.
In mancanza del terzo fattore, il “surplus umano” verrebbe indirizzato verso guerre civili particolarmente cruente (si pensi all’India, al Biafra, al Pakistan occidentale ed alle epurazioni della rivoluzione cinese). Da tale ragionamento si desume che i soli fattori demografico ed anagrafico non sono condizioni sufficienti per scatenare un “imperialismo bellicoso”. Esso si manifesterebbe solo in Stati tecnologicamente ed economicamente avanzati.
Per l’erudito francese la sovrappopolazione costituisce non una causa diretta della guerra ma una condizione che rende tutti gli altri fattori belligeni più efficaci e virulenti. La sovrappopolazione è, dunque, senz’altro la condizione “dell’aggressività distruttrice”, atteso che le ragioni storiche delle guerre (siano esse ideologiche, politiche, economiche, razziali, culturali od altro) sono conseguenza di una particolare struttura demo-economica. Pertanto, molti conflitti non avrebbero avuto luogo, o non avrebbero avuto elevati effetti distruttivi, se alle spalle dei belligeranti non vi fosse stato l’elemento demo-economico.
Tale interpretazione delinea una prospettiva multidisciplinare localizzata nello spazio: secondo lo studioso francese gli Stati che si trovano in determinate condizioni, demografiche, anagrafiche, sociali ed economiche (sviluppo di adeguata tecnologia) hanno una maggiore propensione alla bellicosità. Gli Stati (due o più) che hanno una propria “struttura esplosiva” sarebbero maggiormente propensi a scatenare guerre tra loro. La tendenza a far divampare conflitti è, pertanto, inquadrabile nello spazio geografico laddove sono presenti i fattori belligeni, prevalentemente gli elementi demografico e la struttura economica capace di supportare uno scontro armato, anche di lunga durata.
Bouthoul individuava nella guerra un elemento capace di risolvere alcuni squilibri interni agli Stati, in particolare quelli demografici ed economici. I conflitti sarebbero considerati da alcuni Stati una sorta di meccanismo riequilibratore delle problematiche interne.
Nei cicli economici si alternano fasi (in tempi più o meno lunghi) che necessitano di aggiustamenti tra produzione, tecnica, circolazione del denaro e livello dei consumi interni. Sostanzialmente richiama quello che gli statistici economici hanno inquadrato, nelle loro ricerche, nei “cicli economici”, ovvero fasi di crescita e decrescita, cadenzati temporalmente secondo l’analisi delle serie storiche economiche.
Le crisi del sistema economico, ovvero forte riduzione delle scorte, disoccupazione, calo produttivo, che di fatto frenano poderosamente la produzione, favoriscono lo sviluppo dei fattori belligeni. Le risorse (forza lavoro) in eccesso vengono indirizzate verso la guerra. Il conflitto, a causa delle perdite umane, frena la crescita demografica ed al suo termine segue la ripresa economica, anche su basi diverse. La particolarità del pensiero del Bouthoul è quella di aver analizzato una lunghissima serie di conflitti e di aver applicato una interpretazione interdisciplinare, con particolare attenzione all’aspetto demografico.
A seguito degli eventi bellici egli notava una sorta di “rilassamento demografico” che contrastava, riequilibrandolo, un periodo di crescita demografica ed economica non sopportabile dallo Stato.
Molto cinicamente il Bouthoul sosteneva che i caduti in guerra riconducono ad un nuovo equilibrio; l’eccesso di popolazione che il sistema economico-politico non è in grado di assorbire viene eliminata. Egli giunse a conclusioni deterministiche; una volta approfondite le analisi scientifiche, si sarebbero potuti evitare i conflitti eliminando il “rilassamento demografico”.
Il Bouthoul pensava, sotto l’aspetto prescrittivo, di poter prevenire le guerre contrastando semplicemente una crescita demografica senza freni. Si potrebbe definire una posizione neomalthusiana. Il malthusianesimo è una dottrina economica che, rifacendosi al pensiero dell’economista inglese Thomas Robert Malthus – 1766/1834 -, attribuisce prevalentemente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame nel mondo, ponendo in stretta correlazione la popolazione e le risorse naturali disponibili.