Ad uccidere Satnam Singh non è stata solo l’emorragia conseguente la sventurata amputazione del braccio, ma la nostra indifferenza.
Il protagonista del drammatico ennesimo incidente sul lavoro ha un nome, ma non aveva un contratto di lavoro e non aveva mai ottenuto un permesso di soggiorno. E’ uno dei tanti, tantissimi, forse troppi “invisibili” che però – senza disporre di poteri soprannaturali dei supereroi – sono visibili a chiunque si trovi a passare lungo i campi di pomodoro o dinanzi ai lager che eufemisticamente chiamiamo “stabilimenti”. Se il quisque de populo non fatica a individuare la presenza e l’attività di questi disperati, le Istituzioni – forse guardando l’orizzonte sempre controsole – non riescono a rilevare lo sconfortante quadro che invece è estremamente nitido per la gente comune.
L’omicidio è conseguenza diretta di un altro reato, quello di riduzione in schiavitù. Satnam non è morto per una sua “leggerezza” come ha voluto raccontare il suo datore di lavoro, che in famiglia vanta precedenti specifici di “caporalato” e la cui recente condotta ha impietrito persino la folta schiera di “imprenditori” che sfruttano senza pietà e senza vergogna chi per disperazione e fame accetta qualunque condizione pur di lavorare.
Il dottor Maurizio Falco, prefetto di Latina, ha tenuto a dichiarare che negli ultimi anni “molto è stato fatto” e “la collaborazione con l’Inps è stata fortissima”.
Nessuno nega l’impegno profuso ma l’evidenza dei fatti pesa come un macigno e lascia pensare cosa sarebbe successo se non si fosse fatto nulla.
La situazione dell’agro pontino è evidente a chiunque scelga di non bendarsi gli occhi quando esce di casa. Non c’è bisogno di sovrumani sforzi investigativi quando basta percorrere una qualunque strada di quella zona e volgere lo sguardo ad una qualsiasi area agricolo per avvilirsi nel vedere poveracci che sotto il sole che difficilmente sono inquadrati con un regolare contratto e con le corrispondenti garanzie.
L’estensione del fenomeno non può costituire un alibi. E non si deve attendere il propagarsi delle notizie di un macabro episodio per prendere (o dire di prendere) in considerazione il problema dell’ignobile sfruttamento di manodopera impiegata con modalità bestiali. Imprenditori fortunati non incappano in incidenti oppure non vengono esposti alla gogna della stampa perché l’evento a loro riconducibile non è abbastanza “notiziabile” in quanto privo di sensazionali caratteristiche cruente. Ma il dramma esiste anche quando i riflettori sono spenti, pure quando di quelle parti si parla solo a proposito delle code per raggiungere le magnifiche località del litorale…
Il signor Renzo Lovato è indagato dal 2019 per il reato di caporalato ma quel procedimento non è mai arrivato alla fine, evidenziando o una imperdonabile inerzia giudiziaria o (come forse è stato) una certa superficialità procedurale che si è tradotta in errori di notifica…
Mentre la pallottola spuntata della macchina della Giustizia rallegra chi continua a fare il proprio comodo, il prezzo di una così indegna situazione è pagato quotidianamente dalla carne da macello arrostita sul barbecue dei più biechi negrieri.
Il signor Renzo Lovato ha ottenuto finanziamenti comunitari per oltre 130mila euro e – nonostante la stretta ed intensa collaborazione tra Prefettura e INPS – ha truffato l’ente previdenziale assumendo i lavoratori per l’arco temporale strettamente necessario per far maturare loro il sussidio di disoccupazione, licenziandoli subito dopo e mantenendoli immediatamente “in servizio” a condizioni disumane…
Si parla di strenua lotta al caporalato e, leggendo il Comunicato Stampa di Palazzo Chigi del 4 giugno 2024, si scopre che il Prefetto di Latina qualche giorno prima di questa tragedia era stato collocato dal Governo fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri “ai fini del conferimento dell’incarico di commissario straordinario, in materia di superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura”.
Nel congratularci con il dottor Falco, che ricordiamo già all’opera a Piacenza in quell’altra oasi dei lavoratori che è il centro logistico di Amazon, ci auguriamo il successo che finora sembra esser mancato…