“Il silenzio è il pane dell’anima”. In questa frase, sia essa o meno attribuibile a Spinoza, viene racchiusa l’idea che il silenzio sia una condizione favorevole alla crescita interiore, attraverso una maggior connessione e comprensione dell’ambiente, tanto esterno quanto interno.
La parola “silenzio” deriva dal latino silentium e dal verbo silere, indicanti entrambe sia l’assenza di rumore o suoni, sia l’idea di calma e tranquillità, riferibili al contesto esterno quanto allo stato d’animo individuale. Siamo esseri sociali bisognosi di comunicare, che implica emettere suoni, più o meno simbolici, ma anche creare una condizione di silenzio tale per cui questi vengano ascoltati… Del resto, volendo andare ancora più a fondo considerando il silenzio non solo come assenza di suoni linguistici ma anche come assenza di dialogo interno, arriveremmo a pensare di poter silenziare il pensiero, il che non sembra essere possibile ai più…
L’Essere Umano è un essere sociale e necessita di comunicare, non solo per soddisfare i suoi bisogni, ma anche per “individuarsi” cioè definirsi attraverso il confronto. La nostra identità è un dono sociale mediato dalla comunicazione. Noi desideriamo confronto e connessione con gli altri anche per condividere pensieri e comportamenti funzionali a creare gruppi coesi e culture condivise.
Tutto ciò, fino a poco tempo fa, in un contesto fisico determinato dalla possibilità concreta di interagire con un numero limitato di persone, entro un tempo e uno spazio limitati, peraltro entro una soglia sensoriale ben definita. Ma nel contesto attuale, la proiezione virtuale della realtà analogica attraverso i social network, ha stravolto per così dire questa cornice, rendendo potenzialmente infinito il contesto del confronto, il numero di interlocutori, il volume della comunicazione, il tutto in un tempo fulmineo.
Se questo non costituisce rumore assordante per le orecchie, certamente rappresenta un “rumore” più che assordante per la nostra mente e la nostra anima, confuse tra mille voci, più o meno significative, che simultaneamente comunicano tutto di sé (da ciò che mangiano a ciò che pensano o fanno) e discettano su tutto in ogni istante, senza lasciare spazio alcuno all’ascolto attento e profondo dell’altro.
In questa dimensione virtuale, quand’anche insonorizzata, di fatto suono e tempo coincidono: così il silenzio si traduce nel tempo della lettura o nell’attesa paziente di una risposta, mentre il brusio di fondo e il vociferare confuso si manifestano nel frenetico digitare sulla tastiera, le urla diventano un eloquio dai toni forti e dai caratteri maiuscoli.
Il silenzio del resto, la non risposta, se pur paradossale, può rappresentare una potente forma di comunicazione, intenzionale o meno che sia: può indicare un malessere psicologico, ma anche una ribellione… un po’ come il passivo aggressivo che manifesta la sua aggressività nel non agire. Non si può non comunicare insegna Watzlawick, quindi anche il silenzio comunica, spesso in modo assai piÙ potente e “rumoroso”, proprio per il fatto di essere difficile da interpretare e da sostenere.
Accogliere il silenzio in una interazione, senza avvertire un senso di disagio, implica una grande forza e stabilità interiore, perché comporta la capacità di abitare una dimensione di “non sapere” rispetto all’altro, implica il poter rinunciare al suo feedback, quindi al nostro principale parametro di giudizio, implica il saper differire la gratificazione di una risposta, qualunque essa sia. I grandi leader, infatti, in modo più o meno artefatto, si esercitano in discorsi dalle lunghe pause per creare attesa, suspense, tensione…
C’è infine un altro aspetto ineludibile e brutalmente sensoriale della questione: le nostre società sono inquinate non solo a livello atmosferico, ma anche a livello acustico. Siamo circondati da rumori, dentro e fuori le abitazioni, a cui siamo oramai praticamente assuefatti, salvo rendercene perfettamente conto durante la Pandemia da CoVid19, quando abbiamo riscoperto il cinguettio degli uccellini di prima mattina in sostituzione al fracasso delle auto nel traffico…
In conclusione, il tema del silenzio è oggi centrale, non solo perché è una dimensione fisicamente rara, ma perché va di pari passo con la frenesia del tempo che viviamo e con la capacità di attendere e di osservare. Quanto tempo mi do per ascoltare e capire prima di rispondere o decidere? Quanto per riflettere attentamente prima di agire? Quanto rumore di fondo fanno le mie convinzioni e i miei pregiudizi mentre ascolto qualcuno che la pensa diversamente?
Il silenzio si traduce quindi in uno spazio temporale necessario per costruire relazioni profonde e significative, per entrare in intimità con l’altro e con sé stessi e, nel lungo periodo, per creare società più sostenibili. Così, se IL SILENZIO COME IL PANE NUTRE L’ANIMA, L’ASCOLTO COME UN BALSAMO, LA CURA.