25 Maggio 1948. Una cella della prigione di Varsavia. Uno sparo. Un colpo secco alla nuca, e via. Così l’ufficiale di cavalleria antinazista ed anticomunista Witold Pilecki venne ucciso senza pietà.
Un nome non noto a tutti, che forse a livello storico potrebbe essere per alcuni un po’ scomodo e un pochino fastidioso da rammentare, un ricordo che resta per lo più confinato nella sua Regione. Netflix ne ha fatto un film nel 2023. Ma vediamo il fatto.
Witold Pilecki (1901 – 1948), di nobile famiglia polacca, agiato proprietario terriero, prima di offrirsi come volontario per quella che, in qualunque evo e su qualunque pianeta, sarebbe una folle missione suicida, in realtà già da prima era un eroe: nella Grande Guerra era stato pluridecorato e successivamente egli, cattolico credente e praticante, era divenuto un attivista della resistenza antinazista.
Dopo l’occupazione polacca della Wehrmacht nel 1939, aveva creato con altri colleghi la TAP (Tajna Armia Polska), un’organizzazione clandestina contro i tedeschi, praticamente un esercito segreto della Polonia occupata.
Nel 1940 il comando polacco venne a sapere che i tedeschi stavano edificando un enorme complesso in una cittadina a sud del Paese, Auschwitz. Contemporaneamente, migliaia di ufficiali e di importanti personalità polacche stavano scomparendo dalla Polonia e si sospettava che fossero tutti imprigionati proprio ad Auschwitz.
Pilecki si offrì allora di intrufolarsi nel lager, col progetto iniziale di una missione di salvataggio: dopo il suo arresto avrebbe organizzato una rivolta ed una evasione di tutti i polacchi detenuti. Il rischio era talmente elevato da rasentare il suicidio ed il permesso gli venne negato, ma dopo qualche tempo migliaia di polacchi d’élite erano ormai scomparsi e Auschwitz era ancora un mistero per l’intelligence alleata, che non sapeva cosa stesse succedendo al suo interno.
Quindi Pilecki fu autorizzato ad infiltrarsi nel campo come agente segreto. Il tenente adorava la sua travagliatissima Polonia e, pur essendo nel frattempo divenuto padre di famiglia, nel settembre del 1940, durante un ennesimo rastrellamento della Gestapo a Varsavia, si fece pazzescamente e appositamente arrestare sotto il falso nome di Serafinski.
Venne torturato per due giorni e poi inviato ad Auschwitz, col numero 4859 tatuato sul braccio. Il core della sua missione era un’operazione di intelligence all’interno dei campi di concentramento, per conoscere la situazione dei prigionieri e creare una squadra interna di persone fidate, per poi organizzare una rivolta nel lager stesso, con il contemporaneo intervento di aiuti dall’esterno.
Si era solo all’inizio delle persecuzioni naziste e dello scempio da loro perpetrato, per cui Pilecki era sinceramente convinto di riuscire a prendere possesso del campo per distruggere il sistema dall’interno e liberare i prigionieri, e nel contempo per inviare informazioni sia allo Stato Maggiore polacco, in esilio in Inghilterra, che alle forze alleate.
Infatti, non appena giunto ad Auschwitz, l’agente formò la ZOW (Zwiazek Organizacji Wojskowych), un team segreto formato da cinquine, ossia da piccole cellule indipendenti tra di loro, che nel 1941 permisero a Pilecki di inviare al resto del mondo rapporti precisi e puntuali sugli orrori compiuti dalle SS nel lager, sfruttando ogni occasione che gli permettesse di contattare l’esterno, come la fuga di qualche prigioniero cui affidava i suoi scritti.
Pilecki notò subito che la triste realtà di Auschwitz superava ogni immaginazione, ma restò al suo posto per ben due anni, durante i quali creò un gruppo segreto al suo interno, organizzato con una piramide di comando e contatti con l’esterno, mai scoperto dalle SS.
Pilecki, sempre convinto di poter suscitare una rivolta all’interno del campo con aiuti esterni, inviò piani e rapporti a Varsavia, attendendo mesi interi per un riscontro e sopravvivendo in condizioni estreme. Poi iniziarono ad arrivare gli ebrei a migliaia, privati dei loro beni e della loro dignità, infilati sotto le “docce” di ultima generazione, gasati e bruciati.
I report e gli appelli di Pilecki all’esterno si infittirono. Egli cercò di avvisare tutti, supplicò l’esercito segreto polacco di aiutarlo, di bombardare il lager, pur di distruggere le camere a gas. Ma tutti, compresi gli alleati, pensarono che fosse un esagerato, forse provato dalla prigionia, e che ciò che descriveva sembrasse troppo folle.
Pilecki fu il primo ad avvisare il mondo dell’Olocausto, dello sterminio di massa degli ebrei a Auschwitz–Birkenau. Le sue informazioni furono condivise dai vari gruppi di resistenza, dal Regno Unito, dal comando alleato a Londra, e giunsero fino ad Eisenhower e Churchill. Purtroppo nessuno agì, forse anche loro pensavano che l’infiltrato stesse esagerando? Non lo sapremo mai.
Fatto sta che soltanto nel 1943 Pilecki capì che ormai la sua missione sarebbe fallita e che né il suo esercito, né gli americani, né gli inglesi lo avrebbero mai aiutato. Egli si rese allora conto che era giunto il momento di fuggire. E lo fece, con abilità e coraggio.
Si rifugiò presso alcuni partigiani e poi nel 1945 tornò a prestare servizio presso il Corpo d’Armata polacco sotto il Comando britannico, durante la guerra di liberazione in Italia, sempre continuando a scrivere rapporti su Auschwitz, dove implorava di “non trattarli come meri resoconti sensazionalistici… perché si tratta di esperienze estreme di tanti polacchi onesti…Nulla è stato esagerato, anche la minima bugia profanerebbe la memoria di quelle degne persone che persero la vita laggiù”.
Alla fine della II G.M. la Polonia subì un violento insediamento del Soviet, con arresti, incarcerazioni, torture, fucilazioni e deportazioni dei dissidenti polacchi. Pilecki si offrì stavolta volontario per tornare nella sua Patria ed aiutare la resistenza prima antinazista, ed adesso anticomunista. Ancora una volta si infiltrò nell’intelligence e riprese ad inviare report al governo in esilio.
Quando fu scoperto volle restare in Polonia per non abbandonare di nuovo la famiglia, ma nel frattempo intanto patrioti e comunisti avevano rotto definitivamente; dunque per persone come Pilecki la fine era vicina. Messo al bando dai sovietici, dopo aver raccolto prove della crudeltà comunista nei Gulag, egli venne arrestato, torturato e, dopo un processo sommario e farsesco con una falsa e ridicola accusa di collaborazionismo con i tedeschi, fu condannato a morte. Il primo ministro della Polonia comunista era in quel momento tal Cyrankiewicz, un veterano di Auschwitz.
Dopo l’esecuzione, il corpo di Pilecki fu sepolto in un luogo segreto ed alla famiglia fu ordinato di non commemorarlo. Dove Pilecki sia inumato è tutt’ora ignoto, si dice vicino alla pattumiera del cimitero di Varsavia. Forse faceva più paura da morto che da vivo.
Forse il destino dei veri eroi è questo.
Witold Pilecki è stato riabilitato solo dopo la caduta del Muro di Berlino (1990), ma è molto probabile che a lui non interessi. Resta la certezza che la memoria di un simile eroe non dovrebbe mai venir meno.
Resta il dubbio, se gli avessero creduto, di come sarebbe andata la storia dell’Olocausto e di quante vite sarebbero state risparmiate. Resta la domanda del perché non gli hanno o non gli hanno voluto credere. Quindi questo eroe può dare fastidio a qualche coscienza, orientale od occidentale che sia?
Diamo un senso vero e reale, allora, alla risoluzione del Parlamento europeo del 2019, che ha chiesto a tutti gli Stati membri di celebrare ogni 25 maggio la memoria di Witold Pilecki.