Per evitare di essere etichettato come monomaniacale e di venir considerato quello che vede ovunque lo zampino dei pirati informatici, ho aspettato che qualcun altro tirasse fuori l’argomento anche solo come fantasiosa ipotesi per non escludere proprio nulla nella vasta gamma di possibili cause.
A liberarmi da questa specie di sortilegio è stato Francesco Foppiano, docente dell’Università di Genova nei corsi di laurea in “Design del prodotto nautico” e “Ingegneria Nautica”, velista, skipper, consulente e progettista. In pratica dopo il Dio Nettuno, il più grande esperto di quel che accade e può accadere per mare.
Il suo lungo articolo sulla rivista digitale “RollingSteel”, che consiglio sinceramente di leggere, è qualcosa di magistrale perché ad esperienza e competenza è mescolata una capacità divulgativa che raramente si incontra. Quello scritto mi ha fulminato quasi fossi John Belushi che in chiesa comincia a far acrobazie ginniche dopo aver urlato “Ho visto la luce”.
La Bayesian è una nave corredata da ogni automatismo e ha un sistema di gestione informatizzato all’estremo. Comandante ed equipaggio possono contare su un ausilio fondamentale che volendo riduce al minimo le operazioni manuali, facendo tesoro di sensori sofisticatissimi ed impostazioni pronte ad assicurare la più serena navigazione in qualunque condizione meteomarina.
In “2001, Odissea nello spazio” il computer di bordo cerca di prendere il controllo dell’astronave ma chi è al comando riesce a disattivare le funzioni e bloccare i nefasti propositi. Sulla Bayesian potrebbe esser successo qualcosa di simile, ma con epilogo drammaticamente diverso.
Se la macchina prende il sopravvento in una fase avversa delle condizioni atmosferiche (magari generate artificialmente) l’affondamento può diventare estremamente plausibile. Se il sistema informatico dà il via ad azioni ed iniziative diametralmente opposte a quelle necessarie per salvare lo scafo e chi è a bordo, non è difficile trovare spiegazione a quel che si è verificato.
Se il pilota automatico è capace di governare la rotta senza sbalordire nessuno, perché si dovrebbe rimanere stupefatti se il computer interrompe la ricezione delle comunicazioni, “addormenta” il radar, spegne in modo irreversibile i motori, blocca le pompe di sentina, fa impazzire la gestione delle cisterne e delle acque di zavorra, agisce sulle paratie, spalanca i portelloni…
Le moderne imbarcazioni sono da sempre nel mirino dei pirati informatici, ma la sensibilità è rimasta sotto la linea di galleggiamento.
Certamente i bersagli più facili da colpire sono i sistemi di comunicazione (quelli integrati e quelli satellitari), quelli di allarme generale e di eventuale comunicazione sonora per allertare chi è a bordo, di dialogo con le autorità marittime.
Poi preda appetibile sono i sistemi di plancia: quello di navigazione, di posizionamento ordinario e dinamico, di visualizzazione delle carte nautiche elettroniche, di identificazione automatica, di interfaccia con i sistemi di propulsione e manovra.
L’elenco potrebbe continuare ma sarebbe totalmente inutile. In assenza della “scatola nera” e immaginando knock-out l’informatica di bordo, saranno i sistemi in cloud o altri server dedicati ad aver acquisito e memorizzato la sequenza degli eventi.
Ma se davvero c’è stata un’intrusione nei sistemi di elaborazione dati è legittimo credere che gli hacker – una volta ultimato le operazioni di sabotaggio – abbiano cancellato ogni traccia del loro passaggio e e delle malefatte poste in essere.
Di questi apparati operanti da remoto nessuno finora ha fatto menzione e c’è da augurarsi che non siano mancati provvedimenti giudiziari o interventi di iniziativa volti a salvaguardarne il contenuto.
Le perizie meteorologiche e quelle ingegneristico-navali sicuramente saranno affiancate da analisi informatiche, almeno – come cantava Enzo Jannacci – “per vedere di nascosto l’effetto che fa”…