Col romanzo Il deserto dei Tartari, pubblicato nel 1940 da Rizzoli, lo scrittore, giornalista, drammaturgo e scenografo, Dino Buzzati (Belluno 1906 – Milano 1972) viene consacrato tra i grandi del Novecento italiano.
Il “deserto dei Tartari” è la desolata pianura di un paese immaginario del nord (per Tartaria s’intendeva la Siberia e l’Asia centrale) dominata dalla Fortezza Bastiani: l’ultimo avamposto ai confini settentrionali del Regno dove viene assegnato il sottotenente di prima nomina Giovanni Drogo.
Drogo, da subito, pensa di farsi trasferire in città e fuggire da quella Fortezza che vede ridotta a una fatiscente costruzione arroccata su una montagna solitaria, in un passato lontano teatro di innumerevoli battaglie, mentre ora è ignorata da tanti che sconoscono persino la sua esistenza.
Ma, come gli altri soldati, viene preso da quella sorta di misterioso incantesimo che la avvolge coi suoi ritmi immutabili, scanditi da una rigida disciplina militare, e finisce con l’essere avvinghiato dal fascino di quegli immensi spazi desertici.
Così vi trascorre trent’anni di servizio, fino a diventare Maggiore e vicecomandante della Fortezza, animato dall’unica speranza di vedere apparire all’orizzonte i Tartari e affrontarli eroicamente, restituendo alla Fortezza la sua antica importanza strategica e dando finalmente un senso a tutti quegli anni consumati nell’attesa del nemico e della gloria.
“Lo scorrere del tempo” e “il senso da dare al proprio essere” emergono come i temi dominanti del romanzo, fino a quando all’orizzonte appaiono le truppe e le artiglierie tartare. Ed è finalmente battaglia.
Un senso al proprio vivere l’ha dato l’architetto Antonio Dorigo, protagonista di Un amore, altro romanzo di Buzzati, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore nel 1963 ma di rara, pompeiana attualità proprio come Il deserto dei Tartari. Questa volta la storia non è ambientata in un paese immaginario ma nei salotti e nelle case di tolleranza di una Milano degradata, triste e grigia.
Antonio s’innamora perdutamente di Laide, una giovanissima prostituta capricciosa e opportunista che, dopo mortificanti umiliazioni, lo porterà, prima, a mentire a se stesso per continuare a sognare, poi, a una disperata rassegnazione.
Buzzati ne Il deserto dei Tartari, con la sua malinconica metafora della vita, ha rappresentato le illusioni dal nascere allo svanire. Ha delineato presenze invisibili, forze vaghe e occulte, come quelle che alimentano le attuali, diffuse teorie complottiste. E ha descritto nemici immaginari che attraversano deserti sconfinati e allucinogeni, come quelli intravisti all’orizzonte dal Parlamento Europeo, pronti a invadere l’Europa intera.
Perciò, per dare un senso alla propria esistenza l’Europarlamento, sollecitato da Draghi, non Drogo, a individuare una strategia competitiva per l’Europa, cambiando le proprie politiche disastrose, altrimenti, a sua detta, non ha più motivo di esistere, tra i tantissimi settori in cui intervenire, ha individuato quello della difesa, in quanto vede, a breve, compromessa la nostra libertà.
E, per opporsi alla minaccia militare rappresentata dell’esercito del nord, il 19 settembre scorso ha approvato, a grandissima maggioranza, un’altra folle risoluzione sul sostegno all’Ucraina, frutto del culto delle armi e della morte.
In particolare, con 377 voti a favore, 191 contrari e 51 astenuti, ha approvato il paragrafo 8 della risoluzione che recita testualmente: “Si invitano gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo”.
Cioè, l’Europarlamento in seduta plenaria chiede sostanzialmente di dare il via alla terza guerra mondiale sul territorio europeo.
Ora l’Europarlamento, come la Fortezza Bastiani, un senso ce l’ha: il senso per le armi e per la guerra.