“Spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”. Così scriveva Adriano Olivetti
Con queste parole il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordare Adriano Olivetti nel sessantesimo anniversario della sua morte: “Quel senso di responsabilità sociale, che attribuiva all’imprenditore e all’impresa, è pienamente attuale.
Le trasformazioni di questi anni sottolineano il tema di uno sviluppo di qualità, sostenibile per l’ambiente e per la società nel suo insieme. L’insegnamento di Olivetti è che si può perseguire al meglio l’innovazione e il progresso tecnologico sviluppando solidarietà”.
Oggi voglio scrivere qualcosa sulla Olivetti perché tutti ne parlano e scrivono, magari solo per sentito dire, io devo solo fare uno sforzo di memoria per ricordare, ma quegli anni cinquanta li ho vissuti da dentro quell’azienda verso la fine con Adriano e poi, dopo la sua morte per tutti gli anni sessanta in cui i suoi successori e il management formatosi con la sua impronta seguirono pedissequamente i suoi insegnamenti.
Devo dire che anche a me è rimasta quell’impronta (se non altro dal punto di vista politico) per tutta la vita. Ho detto politico perché Adriano Olivetti partecipò per un breve periodo con il suo movimento/partito “Comunità” alla vita politica nazionale.
Ricordo quale fosse il messaggio che “Comunità”, nato e morto con lui, diffondeva nel Paese: “La persona ha profondo il senso e il rispetto della dignità altrui, sente i legami che la uniscono alla comunità cui appartiene, possiede un principio interiore che sostiene la sua vocazione indirizzandola verso un fine spirituale e superiore. Se il mondo vuole evitare nuove catastrofi occorre creare una società in cui la persona possa sviluppare la propria umanità e spiritualità. La società individualista ed egoista dove il progresso economico e sociale era solo la conseguenza di spaventosi conflitti d’interessi e di una continua sopraffazione dei forti sui deboli, è distrutta. Sulle sue rovine nasce una società umana: quella di una Comunità concreta“.
Personalmente in tutti i 10 anni trascorsi in Olivetti dopo la morte di Adriano ho avuto come capo Elserino Piol (foto qui sotto)
Il quale era la copia del suo maestro Adriano, cominciando dal fatto che chiamava i suoi dipendenti “collaboratori”.
Con questo tipo di scuola manageriale era ovvio che lo usassi anch’io nelle due aziende con cui collaborai dopo l’Olivetti, la Philips e la Siemens. Ora vorrei elencare per sommi capi le principali innovazioni che apportò Adriano all’Olivetti sia dal punto di vista della gestione del personale che, più in generale, da quello sociale che posso assicurarne la veridicità perché le ho vissute personalmente.
Cominciamo dall’innovazione tecnologica e dall’entrata nel campo dei computer che ho vissuto con la permanenza in Olivetti Bull, in Olivetti General Electric e nella Divisione Elettronica Olivetti. Ho visto direttamente la realizzazione dei primi computer italiani, l’Elea 9003 e la Programma 101 (PC).
Per progettare e sviluppare questo tipo di prodotti elettronici era stato realizzato un particolare centro di ricerca a Pregnana Milanese diretto da Mario Tchou, morto molto giovane anche lui come Adriano in un incidente automobilistica.
Ma veniamo alla parte più importante della rivoluzione industriale realizzata da Adriano che creò qualche imbarazzo nel mondo capitalistico di allora. Fu il primo a decidere di riversare sui dipendenti una buona parte degli utili dell’azienda a beneficio di coloro che partecipavano in modo determinante a crearli. E questo lo fece con la creazione di una serie di benefits di natura economica e sociale a favore dei dipendenti.
Ricordo, oltre ai buoni stipendi, l’ottimo rimborso spese per le trasferte per noi impiegati (lo stesso succedeva per gli operai, vista la loro scarsa partecipazioni agli scioperi indetti dai sindacati nazionali). Ma veniamo a quello che creò la vera e propria differenza tra Olivetti e le altre aziende dell’epoca.
Volle che i suoi lavoratori fossero trattati dai loro manager come persone, prima ancora che come lavoratori.
Si stava attenti ai bambini piccoli, assicurando loro gli asili nido, oppure all’istruzione e alla cultura. Olivetti voleva che, nella prima mezz’ora di lavoro, i suoi impiegati si dedicassero alla lettura dei giornali perché dovevano essere ben informati su ciò che avveniva nel mondo.
Anche sulle malattie noi eravamo privilegiati con un trattamento del tutto particolare presso l’ospedale di Ivrea e io l’ho provato personalmente quando è nata la mia prima figlia. Tutto questo ad alcune grandi aziende di allora non piaceva affatto.
Per fortuna dopo Adriano c’è stato anche qualche altro capo d’azienda come lui.