Se volevate sapere dove hanno il conto corrente le sorelle Meloni, l’ex Fidanzato d’Italia Andrea Giambruno, il collezionista di busti d’epoca Ignazio La Russa, i ministri Crosetto, Santanchè e Fitto, i presidenti di Regione Emiliano e Zaia, la cronaca ha ampiamente soddisfatto la vostra curiosità.
Allo stesso tempo chi insisteva con il dire che gli Istituti di Credito se ne fregano della clientela e si disinteressano del denaro dei risparmiatori, deve ammettere di aver pervicacemente sbagliato. Ci sono infatti banche che si preoccupano di giacenze e movimenti, e poco importa se son soldi che girano o stazionano in tutt’altra località. Grazie a sofisticati sistemi informatici ci sono angeli custodi che tengono d’occhio anche chi si è rivolto ad un’altra filiale o ha piazzato tutti i suoi averi in una agenzia dalla parte opposta del Paese.
Avere la situazione sotto controllo è una vocazione tutta italiana e la certosina raccolta di dati e informazioni è una disciplina in cui eccellono non solo campioni con le stellette. Pur non essendo disciplina olimpica, il dossieraggio non è territorio esclusivo del solito atleta delle Fiamme Gialle che in questo sport si è esibito come un vero fuoriclasse e che sul ring giudiziario di Perugia domina da mesi le scene.
Anche le compagini private sanno portare alla ribalta talenti di pregio e una realtà finanziaria di spicco in queste ore ha dato prova che pure tra i “civili” c’è chi sa raccogliere notizie di ogni genere forse anche meglio di sbirri e soldati.
Con un magico colpo di teatro Intesa SanPaolo ha calamitato l’attenzione dell’Italia sfoderando una sfilza di VIP come propri clienti che – si è visto – non hanno nulla da nascondere almeno al vivace funzionario in servizio in Puglia.
Lo stakanovista impiegato – colpevole di eccessiva produttività – è stato licenziato e la circostanza viene venduta come prova della estraneità dell’importante Istituto di Credito: tutti applaudono al draconiano provvedimento, ma nessuno si permette di dire che l’episodio è segno evidente di qualcosa che purtroppo non ha funzionato nei meccanismi di riservatezza che dovrebbero contraddistinguere attività delicate.
A dire che le misure di sicurezza non hanno fatto il loro mestiere è un’indagine giudiziaria in quel di Bari e il fatto che Intesa Sanpaolo abbia scoperto la magagna è solo una magra – forse anoressica – consolazione.
Si parla di un presumibile numero molto elevato di correntisti spiati attraverso un virtuale buco della serratura e ci si dovrebbe chiedere quale sia stato il “freno non inserito” che ha portato ad ammaccare vistosamente la reputazione e la credibilità del colosso bancario.
Difficile immaginare che il “mezzemaniche” fosse un acrobatico hacker in grado di dribblare barriere tecnologiche insormontabili e di tagliare il filo spinato digitale a recinto di archivi elettronici e piattaforme informatiche. Viene da pensare che questo signore abbia potuto agire indisturbato non per pochi minuti, ma per un periodo sufficiente ad impicciarsi dei fatti altrui a qualunque latitudine della penisola.
Si ha l’impressione che Intesa SanPaolo abbia constatato l’infedeltà del dipendente solo quando questo ha probabilmente esagerato in quantità di operazioni e gli apparati di elaborazione dati – stremati – abbiano chiesto pietà.
Verrebbe da domandarsi se gli “ingranaggi” del sistema non prevedessero limiti al totale libero arbitrio di chi sedeva alla tastiera della propria postazione di lavoro. Possibile che una “interrogazione” (una, senza arrivare a contarne decine, centinaia o magari migliaia) esorbitante le mansioni del “terminalista” non abbia attivato fulminee procedure di audit e bloccato sul nascere l’irrefrenabile desiderio di rovistare sui conti di clienti lontani geograficamente e operativamente? Il buonsenso e forse una certa dimestichezza con “le cose dei computer” porterebbero a pensare che chi sgarra venga chiamato a rispondere del suo operato dopo una piccola manciata di tentativi di ficcare il naso in operazioni e conti non di pertinenza.
Non si sa se il tizio è stato preso dalle trappole hi-tech che bloccano (non proprio subito) i “liberi professionisti” dell’acquisizione illecita di informazioni, oppure se la sua cattura la si deve a qualcuno che ha umanamente raccontato “di aver saputo che”.
La gente si chiede quanti come lui hanno agito con tanto impegno e simili risultati (e magari continuano a farlo). I diretti interessati dal “dossieraggio” probabilmente pretendono di sapere a chi sono state passate le informazioni e se queste erano oggetto di specifica richiesta o venivano offerte dalla generosità dell’ormai ex lavoratore di Intesa SanPaolo. I tecnici – a digiuno di notizie sull’entità di dati “esfiltrati” dal funzionario – domandano se la circostanza sia stata portata a conoscenza del Garante Privacy come previsto dalla disciplina del “data breach”. Tutti scrollano la testa ben comprendendo che per Intesa Sanpaolo non è solo un problema di “buon nome da tutelare”, ma forse qualcosina di più in termini di affidabilità.
Resta una sola certezza. Quando si parla di abolire il segreto bancario non si intendeva in questo modo.