Stabilire delle procedure per individuare l’effettivo stato di necessità di un nucleo famigliare, per permettere l’attivazione di tutti i sistemi di tutela ed aiuto previsti, è concettualmente corretto, per uno Stato sociale con un welfare avanzato come il nostro.
Il problema nasce quando dalla teoria si passa alla pratica.
Volendo essere pragmatici, analizziamo un caso pratico accaduto e che probabilmente nel segreto dell’intimità di molte famiglie accade spesso, senza che raggiunga le luci della ribalta, complice anche il sentimento di vergogna che spinge molti a non palesare lo stato di necessità, subendo in silenzio le vessazioni della burocrazia e della incompetenza del legislatore.
IL CASO
- Nucleo famigliare residente in un paesino dell’alto milanese, composto da moglie e marito con più di 75 anni di età, senza figli e purtroppo con una rete di supporto parentale limitata o praticamente insensibile, quindi assente
- Casa di proprietà in comunione dei beni
- Piccola casa ereditata dai genitori in un piccolo paese nell’entroterra della Calabria
- Moglie casalinga, quindi senza trattamento pensionistico e senza patente di guida
- Marito con una pensione di mille euro netti oltre ad una ulteriore piccola pensione di duecento euro derivante dal periodo di lavoro trascorso in un paese europeo, in gioventù.
Pur non navigando nell’oro, la vita trascorre tranquilla, facendo attenzione alle spese fino a quando il capofamiglia subisce un ictus, reiterato altre due volte, nell’arco di due anni, che lo rende invalido 100% e praticamente inchiodato a letto, da cui può essere alzato solo con l’aiuto di un elevatore, per essere messo in una carrozzina.
La gravità della situazione sanitaria oltre a far scattare il riconoscimento della invalidità totale e della sussistenza dei requisiti della inabilità ex legge 104, origina anche il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, che allo stato equivale a poco più cinquecento euro/mese.
Naturalmente, complice i sentimenti, che nelle coppie anziane, con più di 50 anni di matrimonio tende a prevalere sulla razionalità, il paziente viene tenuto a casa, utilizzando il supporto di una badante che, giornalmente, in alcuni orari si reca a casa per le operazioni di pulizia e quant’altro.
Tenuto conto dei costi da sostenere, viene svenduta la casa in Calabria, che non essendo in una località turistica sul mare non frutta cifre molto importati.
Dopo tre anni, complice l’aggravamento ulteriore dello stato di salute del capofamiglia, la stanchezza anche fisica, oltre che morale della moglie e la fine dei soldi della casa in Calabria venduta, dopo l’ennesimo ricovero in ospedale per un ulteriore aggravamento, si decide di affrontare l’ipotesi del trasferimento in una RSA gestita da una partecipata del Comune, che per un caso fortuito avviene in tempi brevi, rispetto alle tempistiche usuali, data l’importante lista di attesa.
I costi della RSA, pur essendo di fatto comunale, sono di 77 € al giorno, pari a poco più di 2.150 euro mese ed il regolamento comunale prevede che debbano essere a carico totale dell’assistito, assorbendo la totalità delle somme a sua disposizione, in questo caso le due pensioni e l’indennità di accompagnamento, intervenendo solo per la restate parte. Quindi € 1.700 saranno a carico del paziente e 450 € saranno integrate dal Comune.
Sorge spontanea la domanda: la moglie come campa? la mandiamo a vivere sotto i ponti? ed a mendicare davanti alla chiesa?
Purtroppo, sembrerebbe l’unica soluzione perché la legge per la concessione della pensione sociale, che data l’età potrebbe spettare alla donna, prevede che debba essere presentato l’ISEE del nucleo famigliare, essendo sposata, senza tenere conto che nella realtà tutti i soldi del nucleo famigliare sono assorbiti dalla retta della RSA, quindi di fatto è nullatenente.
Quindi la cieca e pedissequa applicazione della legge basata sull’ISEE, complice l’applicazione di regolamenti comunali quantomeno superficiali, di fatto stabilisce che nel caso di una famiglia, che prima della causa invalidante di uno dei due coniugi era sostanzialmente in equilibrio, facendo le opportune rinunce e ponendo adeguate attenzioni alla spese giornaliere, improvvisamente trasforma il coniuge, non colpito dalla malattia, praticamente in un senza tetto, pur avendo una casa di proprietà, ma non avendo i soldi per le bollette, per la Tari e soprattutto per comprare il cibo per sopravvivere, senza pensare alla totale impossibilità di avere un minimo di vita sociale: praticamente un reietto.
Ogni commento sulle leggi fatte in modo superficiale e ciecamente applicate da chi si nasconde dietro un “non dipende da me”, “la legge prevede questo”, “il regolamento è vincolante”, opprimendo l’inerme cittadino, è inutile.