Che gli Americani si fossero raffreddati nei confronti dell’Ucraina si era capito da un po’. Il recente tour negli States di Zelensky è stato un completo flop. Non ha ottenuto nulla di concreto e solo qualche promessa. Ciò che più stava a cuore al Presidente scaduto (il mandato di Zelensky è terminato a maggio di questo anno) era il permesso di lanciare contro la Russia missili a lungo raggio.
Su questo punto la decisione era stata rinviata alla riunione di Ramstein del 12 Ottobre, dove il grande consesso Nato allargato (50 Paesi tra cui anche il Giappone), avrebbe dovuto pronunciarsi in maniera definitiva. In realtà dietro le quinte era noto che questa autorizzazione non sarebbe arrivata, né prima e né dopo.
Fallimentare anche lo show mediatico della firma delle bombe da recapitare alla Russia, perché alla cerimonia erano presenti solo senatori democratici, e questo ha causato non pochi malumori.
Ma il segnale che le cose stiano precipitando, anche ad una velocità maggiore del previsto, è la cancellazione del meeting di Ramstein (domani per chi scrive); non solo Biden aveva annunciato la sua impossibilità a partecipare a causa dell’uragano Milton, ma adesso anche la riunione dei 50 stati partecipanti è stata cancellata.
Al momento non c’è una data per una nuova convocazione. Il fatto che Biden non sia potuto intervenire a causa dei danni causati dall’uragano Milton, danni che ammonterebbero ad una stima iniziale di 50 miliardi di dollari, non sembra essere un motivo sufficiente per la cancellazione dell’importante evento; Il Segretario di Stato Blinken avrebbe potuto egregiamente sostituire il Presidente come è avvenuto in passato.
La cancellazione dell’evento sembra, in realtà, porre la pietra tombale sulle due richieste più importanti di Zelensky: l’autorizzazione dei missili a lungo raggio e l’entrata nella Nato.
L’America è stanca dell’Ucraina e questo è chiaramente avvertito da Biden, Harris e Trump; quest’ultimo, come noto, ha già annunciato che in caso di vittoria farebbe cessare la guerra con la Russia in 24 ore.
Ma è soprattutto la popolazione americana che si domanda perché così tanti soldi siano inviati all’estero mentre a casa propria larga parte della popolazione è in sofferenza, non riesce a risparmiare ed i più fortunati che hanno un lavoro riescono a malapena a sopravvivere di mese in mese.
Quando vi fu l’incendio nell’isola di Maui, nell’arcipelago delle Hawaii nell’Agosto del 2023, che causò oltre 100 morti e una enorme devastazione e danni ingenti al territorio e alla popolazione, vi fu una ondata di sdegno e protesta verso il governo federale che fu accusato di essere stato inesistente nei soccorsi ed altrettanto inesistente per ciò che riguardava gli aiuti economici.
Adesso se la situazione si dovesse ripetere con i danni causati dall’uragano Milton la campagna elettorale della Harris potrebbe essere ad una svolta: negativa. Per questo anche giustificare altri soldi a Zelensky diventa sempre più complicato. Inoltre, con la guerra in Medio Oriente che si sta’ sviluppando su binari del tutto inaspettati, con un drammatico allargamento del conflitto, lo spazio per l’Ucraina è ormai ridotto a poco o nulla.
Dunque, che si fa? Si smobilita. Come in Afghanistan? Non così rapidamente forse, ma i segnali di un disimpegno ci sono tutti. Del resto, gli USA hanno investito in Ucraina tanto, ma non tantissimo ed i danni da un suo disimpegno progressivo sarebbero nulli.
I veri perdenti sono gli europei che si troverebbero ad avere uno stato ridotto in macerie da dover gestire, una pace da firmare, ed un danno economico le cui proporzioni stiamo vedendo esemplificate nella crisi senza fine di quella che un tempo era la locomotiva d’Europa: la Germania.
Naturalmente rimarremo fedeli scudieri dell’America di Trump o Harris, ma travolti da un declino politico, economico, e di leadership mondiale molto difficile da riparare.
Zelensky ormai gira per le cancellerie europee, con le quali ha già firmato tutto il firmabile, ricevendo pacche sulle spalle e rassicurazioni vuote che poco servono a chi sta perdendo centinaia di soldati al giorno in un tritacarne senza fine.
L’entrata nella UE una volta promessa all’unanimità, ora è sempre più lontana e improbabile. Anche i nostri decisori politici che sembrano essere completamente distaccati dalla realtà delle cose, si accorgono che una tale opzione non è più sul tappeto.
La Polonia è la prima oppositrice di una tale eventualità. Così come lo è la Francia. Scholz il Cancelliere tedesco si dice pronto a parlare con Putin: è in ritardo di tre anni, ed in più non ha nulla da offrire a Putin.
La situazione, sul campo di battaglia è disastrosa. Il colpo di teatro di Zelensky, l’invasione di Kursk, si è rivelata una tragedia oltre che una trappola mortale per l’esercito ucraino; accerchiati a Kursk stanno venendo impietosamente decimati chiusi in una sacca senza o con pochi rifornimenti.
Lo spostamento sperato di truppe russe dal fronte est, per difendere Kursk, non è avvenuto, e l’impoverimento delle già sottodimensionate unità ucraine fa si che non reggano più la costante pressione dell’esercito russo. Con il risultato che il lungo fronte si sta progressivamente sfaldando.
Ma qual è il piano di Putin? Bisognerebbe leggere nella sua testa per saperlo. Quello che si può dire è che dopo la sberla iniziale del febbraio del 2022 dove il tentativo di sovvertire il regime a Kiev è finito molto male, si è da allora mosso con molta più cautela.
Ha detto più volte nelle sue conferenze stampa (molto lunghe, ma sempre istruttive) che la Russia è grande di suo e non abbisogna di nuova terra. Credo si possa dare credito a questa affermazione non fosse altro perché per invadere e tenere successivamente l’Ucraina ci vorrebbero almeno due milioni di soldati, forza questa non nelle disponibilità russe al momento.
Il piano credo sia più semplice ed è quello che già sta facendo da tempo: rendere l’Ucraina un deserto non ricostruibile. Lo smantellamento della rete energetica, che è ridotta a meno del 50% delle sue capacità pre-guerra, contribuisce alla distruzione del tessuto industriale ed economico della nazione.
Per quest’inverno è previsto un piano di razionamento dell’energia elettrica che priverebbe alcune zone del Paese di energia per 18 ore al giorno. La minaccia di bombardamenti avrebbe la capacità di dissuadere qualunque tipo di investimento occidentale, o qualunque tentativo di ricostruzione.
Insomma, senza un piano di pace, una “road map” verso un cessate il fuoco, e senza un tavolo negoziale serio non ci può essere un futuro per l’Ucraina. E a questo punto, sembra che l’unico a non averlo capito sia proprio Zelensky.