Basterebbero piccole modifiche. “Mon Amour”, il successo di Annalisa, potrebbe tranquillamente prestarsi ad esser la colonna sonora del melodramma sul mercato tecnologico italiano.
Clienti che pagano un prezzo molto più elevato del dovuto perché – in precedenza o ad “affare fatto” – qualcuno ha dovuto passare la stecca a qualcun altro che deve a sua volta vedersi ricompensato per interessamento o mediazione…
Destinata ad avere più puntate dei leggendari “Beautiful” e “Dinasty”, l’inchiesta inaugurata con l’arresto del direttore generale di SOGEI e del Presidente ed amministratore delegato di Digital Value si sta rivelando appassionante fin dal suo esordio.
A chi si chiede dove andremo a finire, mi permetto di dire che siamo già finiti. Siamo soltanto risvegliati dalle trombe del Giudizio Universale e adesso ci ritroviamo a scavare nel melmoso scenario delle forniture di servizi e prodotti ICT o Information Communication Technology che dir si voglia.
La vittima di questa sciagura cronica è la Pubblica Amministrazione e – a volerla dire tutta – siamo noi contribuenti. Sciacalli impomatati hanno governato un business il cui conto è stato pagato con i soldi dei cittadini e ora, grazie ad una tanto bistrattata magistratura che si ostina nel voler fare con determinazione e competenza il proprio lavoro, sta affiorando uno spettacolo indecoroso che ci si augura il cui epilogo corrisponda alle aspettative popolari.
Come nelle telenovelas sudamericane, ci sono persino attori che cercano di commuovere gli spettatori parlando dei sacrifici insormontabili che deve sopportare un poveraccio ridotto allo stremo da uno stipendio da 230mila euro l’anno.
In un Paese dove uno stagista trentenne inutilmente laureato viene pagato con piccole elemosine e buoni pasto credendo alle promesse di chi lo sfrutta, il manager che dovrebbe costituire il fulgido esempio da seguire si trova costretto a nascondere – come i ragazzini di un tempo facevano con i giornaletti pornografici – 100mila euro sulla sommità dell’armadio. Sono il risultato delle sue attività integrative, soldi guadagnati con coraggio senza i quali non potrebbe pagare la collaboratrice domestica. Non potendosi ancora permettere questo lusso (non ha ancora accumulato gli spiccioli per retribuire la colf) le mazzette sono prudentemente sigillate sottovuoto, a riprova di ineccepibili professionalità ed esperienza.
In una Nazione in cui le famiglie sopravvivono con la cessione del quinto dello stipendio e con piccoli prestiti che ipotecano il loro futuro, il megadirettore galattico strappa le lacrime del pubblico invocando pietà per il suo dover provvedere alla badante per l’anziana mamma. E, pur condividendo quel dolore (magari avendolo già vissuto con disponibilità economiche nemmeno paragonabili), viene spontaneo chiedersi a chi chiedano le mazzette gli sventurati che hanno genitori in etò avanzata o familiari disabili da accudire e da curare.