Chi è nato nei due decenni degli anni cinquanta e sessanta dello scorso secolo ha avuto la fortuna di crescere in una Italia piena di speranze e di relative certezze. La generazione del dopo Seconda Guerra Mondiale credeva nello sviluppo continuo del Paese in ogni settore: l’occupazione e l’economia crescevano e, di pari passo, la credibilità italiana nel campo internazionale. Tutti i progressi scientifici erano visti in positivo e nulla poteva far presagire ad un danno al sistema pianeta. Lo sviluppo economico e dei redditi, a ritmi più che soddisfacenti, si rispecchiavano nelle famiglie che iniziavano ad avere auto, elettrodomestici e quant’altro simboleggiasse il benessere diffuso. Lentamente ma inesorabilmente si combatteva il triste fenomeno dell’analfabetismo. Le migrazioni verso l’estero diminuivano mentre quelle interne, quasi totalmente dal Sud al Nord, sostituivano la necessità di ricercare redditi all’estero.
Ci si chiede cosa sia rimasto di questa Italia nell’ultimo rapporto del CENSIS che liberamente e parzialmente si commenta.
Secondo i dati, quel ceto medio che è stato il nerbo dello sviluppo e del lavoro si è “sfibrato”, atteso che ha perso ben il 7% in termini di reddito reale negli ultimi venti anni. Si sono incrementare le migrazioni verso l’estero; non quelle che venivano definite le braccia da lavoro ma persone di istruzione universitaria, spesso eccellenze che brillano in altri Paesi. Di fatto è un impoverimento dell’Italia in termini di progresso, in particolare nei settori scientifico, medico, della ricerca ed altri. Sono giovani che mettono in gioco strategie individuali per assicurarsi un futuro migliore all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Difficile reperire alcune professionalità: dagli artigiani a quelle scientifiche ed intellettuali. La cultura, della quale per secoli è stata culla l’Italia, non è diffusa ma concentrata in limitati strati della popolazione. Molti stereotipi e pregiudizi attecchiscono: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica, per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.
Abbiamo una cronica denatalità; se qualche decennio fa si vedevano nelle strade bambini e carrozzine, ora si vedono animali domestici. Con tutto il rispetto, non sono un sostituto della popolazione, non sono potenziali cittadini che possono lavorare e far rifulgere il nostro Paese.
A livello politico si sono incrinate la fede e la fiducia nei valori della democrazia, del liberalismo, dei valori occidentali, degli Organismi internazionali nati per tutelare le libertà ed i diritti dell’Uomo: dall’ONU, all’Unione Europea, alla NATO ed altri. Una crisi generale del pensiero democratico e liberale che ha lasciato spazi pericolosi alle estreme destre negazioniste, sovraniste ed autoritarie; purtroppo un fenomeno europeo e non solo.
Ci si sta avviando verso il triste record dell’astensionismo elettorale; a stento si supera il 50% mentre nello scorso secolo si superava l’80-85%. Pericolosa disaffezione dell’elettore sempre più sfiduciato della politica e di chi la gestisce.
Gravi sono i conflitti inerenti ai diritti umani, intesi a tutto tondo, che potremmo sintetizzare nel dettato dell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale.
Se da una parte ci si sta dirigendo verso una società multietnica, attesa la notevole immigrazione da Paesi extra europei, dall’altra si è sviluppata una vasta corrente xenofoba, un estremo livore (termine eufemistico) verso l’alius, l’altro con cui confrontarci quotidianamente. Questo rifiuto è correlato al colore della pelle, ovvero le popolazioni di colore sono considerate quelle che rubano il lavoro agli italiani, che delinquono e turbano la nostra vita quotidiana. Gli immigrati, spesso sfruttati, si prestato a compiere lavori che gli italiani non vogliono più fare; sicuramente molti delinquono ma non sono certo i soli. Nei notiziari viene sempre sottolineato se sono stranieri. Di fatto, prevalentemente, giungono migranti a bassa istruzione ed esportiamo persone a medio/alta istruzione; un impoverimento intellettuale del Paese.
Non pochi giovani sono disagiati: il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Solo in alcuni casi si arriva a una vera patologia conclamata: un giovane su tre (il 29,6% del totale) è stato in cura da uno psicologo e il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci. Dati non certo confortanti per chi dovrà avere in futuro le redini del Paese
Sicuramente i dati economici, in particolare quelli relativi al turismo, sono positivi, meno quelli inerenti al settore industriale; come tutti i dati economici, sono ciclici a dispetto dei valori culturali e sociali che tendono a consolidarsi.
Una parte non ininfluente della popolazione lamenta difficoltà a curarsi per motivi economici, altri a poter usufruire di altri servizi in genere, compresi quelli sulla sicurezza. Troppi stentano ad arrivare alla fine del mese ed a vivere dignitosamente.