Durante la tanto sofferta nascita dello Stato italiano, nel corso del XIX secolo, furono molte le donne attiviste di ogni età e ceto sociale, impegnate nelle patrie lotte del nostro Risorgimento: donne forti, determinate, doppiamente ammirevoli, considerando che nel 1800 la figura femminile era vincolata unicamente ai cliché di moglie e di madre.
In omaggio a quelle poche eroine risorgimentali a noi note e, soprattutto, alla moltitudine di quelle ignote, ricordiamo la dimenticata Rosalie Montmasson in Crispi (chiamata anche Rosalia o Rosa).
L’allora giovane e bella donna, l’Angelo dei Mille, fu l’unica signora che partecipò alla spedizione dei garibaldini (viaggiando con loro da Quarto a Marsala), affiancata poi, soltanto dopo lo sbarco su suolo siciliano, pure da altre eroine. Ma fu anche moglie di Francesco Crispi (1818-1901), famoso statista risorgimentale, politico scaltro e potente, che con la sua Rosa non fu certo tenero.
Rosalia Montmasson (1823-1904), “l’eroina Rusalia”, dal nome così sicilianizzato dal poeta Piola, coraggiosa, forte e ribelle, profondamente innamorata della libertà e di suo marito, si vestì da uomo, con pantaloni e camicia rossa, ed al pari dei suoi compagni maschi combatté per i nostri romantici ideali di unità d’Italia.
L’eroina, nata in Savoia, al tempo parte del Regno di Sardegna, era figlia di contadini e decise giovanissima di emigrare, dopo la morte della madre. Si recò a Marsiglia e poi a Torino, lavorando come stiratrice, ed incontrò l’allora cospiratore e patriota della prima ora, l’avvocato Francesco Crispi, per gli amici Don Ciccio, per lei il suo François.
Lui era già vedovo della prima moglie, aveva anche un figlio da una delle sue amanti, grande mente politica, ma purtroppo era anche un grande tombeur de femmes. Fu amore immediato e profondo, almeno da parte di Rose, una passione che superava il fatto che Crispi fosse mantenuto a Malta dal lavoro di lei, in quanto lui era dedito solo alla politica.
Per questo Rosalia entrò subito in contatto con le idee rivoluzionarie e risorgimentali dell’unità d’Italia, collaborando direttamente con il grande Giuseppe Mazzini e l’altrettanto famoso Garibaldi. Ella, perfetta bilingue in inglese/francese, sostenne Crispi economicamente e moralmente, compì missioni come corriere, consegnando a carbonari e mazziniani messaggi e denaro, che occultava persino tra la biancheria che lavava, varcando frontiere e superando posti di blocco con un tale sprezzo del pericolo che lo scrittore Oddo la definì «fiera savoiarda… dall’anima… di fuoco… nata alla libertà e all’indipendenza».
Quando Crispi venne giudicato come sovversivo dal governo borbonico e venne espulso, lei lo seguì a Londra; ma prima decisero di sposarsi con il solo rito religioso. Fu per loro un periodo di attivismo serrato, l’esule divenne il braccio destro di Mazzini e la coppia iniziò a viaggiare in Europa per stabilirsi poi a Parigi.
Rose continuò a svolgere le sue missioni segrete in giro per la penisola, consegnando messaggi ed armi alle organizzazioni insurrezionali, celando il tutto sotto le crinoline delle sue gonne o tra i cesti di frutta e verdura. Nel 1860, anno decisivo per l’Italia e per l’assetto europeo in generale, Rose effettuò diversi viaggi come informatrice abile e scaltra, per preparare la spedizione dei Mille.
Tant’è che quando chiese a Garibaldi di partire con loro, ottenne subito il suo permesso. Unica donna a bordo in assoluto. Contro la volontà di Crispi, lei si imbarcò a Quarto senza alcuna esitazione.
Dopo lo sbarco garibaldino, Rosalie si rivelò necessaria come infermiera, soprattutto nella sanguinosa battaglia di Calatafimi, ma la si vedeva spesso imbracciare le armi e combattere contro il nemico, a fianco di altre coraggiose compagne. Rosalia era consapevole e fiera di essere donna: per lei tutte le donne appartenevano alla patria come madri, mogli e figlie, e voleva esserne portavoce, in maniera fattiva.
E non era l’unica. In molte contribuirono all’indipendenza italiana, intellettualmente o sul campo, disposte a mettere in gioco la propria vita per cacciare lo straniero. Era convinta che le italiane dovevano emanciparsi, contribuendo alla causa con opere di divulgazione, sostenendo le reti insurrezionali, assistendo feriti e moribondi, o impugnando le armi.
Decisa e coraggiosa, Rosalie supportò (e sopportò) Crispi durante l’ascesa della sua carriera politica, finché divenne deputato. Ad insurrezioni terminate, l’eroina seguì il marito a Torino e poi a Firenze, dopo che era stato da lei salvato da un arresto.
Qui la coppia iniziò a condurre una vita più stabile; lei era nota come unica donna garibaldina, amata e stimata amica di Garibaldi e di Mazzini che, grati, continuavano ad omaggiarla ed a ringraziarla del valido aiuto da lei fornito: i garibaldini le regalarono una croce di diamanti che Rose indosserà per sempre con amore, assieme alla Medaglia dei Mille.
Nel frattempo, il prestigio di Crispi si era consolidato, Roma era divenuta la capitale del nuovo assetto italiano e ciò richiedeva un impegno pressoché totale ed esclusivo da parte dello statista, che comunque nel privato non aveva mai abbandonato il suo atteggiamento libertino ed irrispettoso nei riguardi di colei che lo aveva seguito ed aiutato fino al suo consolidamento al governo.
Dopo ripetuti tradimenti, François sposò un’altra donna, da cui aveva avuto anche una figlia, per cui ripudiò Rose. Nel 1875 l’eroina lasciò il marito, dopo un accordo che prevedeva un vitalizio a suo favore e si trasferì a Torino dove, dimenticata da tutti e delusa dalle istituzioni che non avevano riconosciuto alle insorte il loro ruolo nell’unità d’Italia, morirà in solitudine.
Venne sepolta al Verano, con la sua amata camicia rossa. Scrisse così ad un amico: “sono uscita di casa mia, onde non essere più esposta alle sevizie di Francesco Crispi, che ora mi rinnega per sua moglie”.
Ma tre anni dopo la separazione scoppiò uno scandalo in quanto Crispi, avendo sposato l’amante e madre di sua figlia, venne accusato di bigamia. A sua difesa lo statista rivelò che quello con Rose era un matrimonio nullo (anche se lo aveva sempre taciuto) in quanto celebrato frettolosamente per l’esilio, senza i necessari documenti, officiato dal primo prete disposto a farlo dietro pagamento, ossia da un gesuita girovago e tossico, interdetto dalla carica e sospeso a divinis.
All’epoca la bigamia comportava sette anni di carcere e l’interdizione dai pubblici uffici. Ma Crispi vinse la causa e fu assolto, anzi, verrà poi eletto presidente del consiglio per altre 4 volte, nonostante avesse col tempo rinnegato perfino gli ideali mazziniani.
Dopo il processo, Rosalia Montmasson scomparve dalla storia risorgimentale, dai libri, dalla memoria, complice lo stesso Crispi che evitò accuratamente di riconoscerle meriti (“Era la voce femminile che aveva fatto l’Italia, ma nessuno doveva saperlo”).
Lei stessa si ritirò in silenzio. Il dolore e l’amarezza fanno anche questo. Nel suo diario, ad aprile 1876, riporta: “Non mi sono mai sentita così sola, abbandonata… nella mia malinconia… mi sento umiliata per essere stata trattata in questo modo da chi credevo fosse l’amore della mia vita …Dopo tutto quello per cui abbiamo lottato insieme … Marsiglia, la spedizione, l’unità d’Italia… non mi rimane più niente”.
Don Ciccio continuò invece la sua brillante carriera, e sappiamo bene che nel corso della nostra storia politica non è stato e mai sarà né il primo, né l’unico. Il fatto poi che esista un Risorgimento al femminile, tutt’altro che minore, ma ignorato da tutti i libri di storia, è appunto … un’altra storia.