Decisamente lo siamo, per inventiva, genio o predisposizione: santi, navigatori, poeti e scienziati.
E anche precursori, con Naz(z)areno Strampelli (1866-1942) di quella che è stata battezzata “la rivoluzione verde”, iniziata nella prima metà del secolo scorso e compiuta con il riconoscimento a Norman Borlaug (1914-2009) del Nobel per la Pace nel 1970.
La “Battaglia del Grano”, proclamata nel 1925 dal regime fascista, mirava a ripristinare l’autosufficienza nazionale rispetto alle necessità di consumo interno del cereale e, a parte i ben noti toni enfatici e teatrali della propaganda, mosse la comunità scientifica della filiera agroalimentare ad approfondire le ricerche legate all’aumento di produttività dei grani nostrani e alla progressiva eliminazione delle malattie che affliggevano le coltivazioni.
Il nostro Strampelli, agronomo e genetista marchigiano, già nel periodo della prima Guerra mondiale aveva ottenuto lusinghieri risultati, mediante incroci ed ibridazioni di cultivar di frumento di sua creazione (che aveva battezzato “Sementi Elette”), giungendo, nel 1916, ad ottenere la varietà precoce “Ardito”, che contemporaneamente si dimostrò resistente alla “ruggine” (una delle malattie più diffuse della pianta), aveva un’alta resa per ettaro e resisteva al cosiddetto “allettamento” (la tendenza dei fusti più alti a piegarsi su se stessi, impedendo così completa maturazione e raccolta).
Il Regime fu subito lesto a tirare sul carro della propaganda il buon Strampelli (in verità, non molto entusiasta di vestirsi in orbace, tanto che fu “costretto” ad accettare nel 1929 la nomina regia a Senatore del Regno) ed il grano “Ardito”, seguito dagli altrettanto validi “Gregorio Mendel” (di cui naturalmente Strampelli era approfondito studioso), “Balilla” e (immancabile…) “Littorio” portarono indubbiamente ad un certo successo nella Battaglia del Grano.
Il lavoro di Strampelli pagò anche a lungo termine: superate le diffidenze contadine per le nuove specie ibride, fu oggettivo l’aumento di resa delle coltivazioni e il successo dei suoi studi ed applicazioni, tanto che, già dalla metà degli anni ’40, circa il 90% della superficie coltivata a frumento in Italia era seminata con grani Strampelli.
Molte varietà sono tuttora in uso, tra cui la pregiata “Senatore Cappelli” (dal nome del Sen. Raffaele Cappelli, che mise a disposizione del nostro scienziato le sue terre pugliesi per le sperimentazioni), ed il lavoro fu oggetto di grande interesse anche all’estero, nei paesi più tradizionalmente produttori di frumento (Brasile, Messico, Russia, Argentina e Stati Uniti in testa).
E proprio negli USA uno studio di Strampelli sul debellamento delle malattie della pianta fu addirittura secretato dalle autorità, ritenendo potesse rappresentare una possibile minaccia rivelando tecniche di infestazione dei raccolti del nemico.
La sua eredità (morale e scientifica, ché il Nostro si rifiutò sempre di brevettare le cultivar da lui ottenute, rinunciando a sicuri ingenti profitti), fu raccolta nei primi anni Sessanta dall’agronomo americano Norman Borlaug che, proprio a partire dalle ibridazioni strampelliane, proseguì ed ampliò la ricerca nello spirito – anche filantropico – sempre mostrato dal marchigiano, giungendo con il suo impegno scientifico e personale a vedersi attribuito il Nobel per la Pace nel 1970, per il suo impegno nella lotta alla fame nel mondo.
Al lavoro di Strampelli fu attribuito il merito di aver avviato la “prima rivoluzione verde”, che coniugava alla ricerca scientifica anche lo studio e il miglioramento dell’ambiente sociale legato al mondo dell’agricoltura, combattendo i radicati metodi di coltivazione estensiva proprio grazie al rafforzamento del prodotto della terra da lui ottenuto.
Pensiamo a questi scienziati “in ombra”, alla prossima forchettata di pasta!