“Uno spettro si aggira per l’Europa”; anzi, nel mondo (ma non è più il comunismo).
I Paesi occidentali stanno attraversando un periodo storico in cui il loro sistema di governo (generalmente definibile di stampo liberal-democratico) viene messo in crisi da tendenze che, in modo più o meno dichiarato, ne minano quelle basi ideologiche e culturali su cui si fondano.
I quasi otto decenni che hanno fatto seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno attraversato varie fasi, spesso sconvolte da violenze politico-sociali, a volte sfociate in varie forme di terrorismo, e caratterizzate, per i primi 45 anni, dalla contrapposizione Est/Ovest, cui sono seguiti anni di confronto Nord/Sud.
In questo periodo, le numerose guerre deflagrate in varie zone del Globo si sono sviluppate a distanza dai Paesi Occidentali (ad eccezione dei conflitti nella ex Jugoslavia e della conseguente guerra del Kosovo – 1998/1999), assolvendo al compito di regolare militarmente i conflitti internazionali a distanza di sicurezza dai confini delle rispettive nazioni.
Varie forme di terrorismo (domestico o internazionale) si sono assunte il compito di portare conflitti armati all’interno degli Stati, che in forme più o meno rispettose delle garanzie fornite dai rispettivi ordinamenti giuridico/costituzionali si sono confrontati con le sfide, uscendone per ora vittoriosi.
Le generazioni post belliche, pertanto, sono cresciute secondo schemi estranei ai concetti bellici, ma non ignare della violenza che permea i conflitti sociali.
Traslato in termini istituzionali, questo quadro evidenzia come le Forze Armate (almeno in Italia) abbiano subìto uno sviluppo inferiore a quello delle Forze di polizia e dei Servizi di Informazione e Sicurezza, organismi chiamati a confrontarsi in prima battuta con gli assalti eversivi alle istituzioni democratiche.
La partecipazione a missioni internazionali definite (a volte con un discreto slancio di fantasia) “di pace” ha poi consentito alle nostre Forze Armate di recuperare in termini di equipaggiamento, addestramento ed impiego rispetto a quelle di Stati alleati che, in ragione dell’atteggiamento più interventista dei loro governi, hanno vissuto “sul campo” esperienze belliche più frequenti ed impegnative.
Il lungo periodo di pace (sia pure apparente) ha pervaso le sensibilità occidentali al punto di considerare la libertà, la pace, il sistema di rappresentanza parlamentare come pilastri inattaccabili e immodificabili del vivere sociale, dimenticando quanto siano fragili e bisognosi di protezione e continua alimentazione.
In questo clima di assopimento democratico, le crisi economiche, sociali, identitarie hanno alimentato l’insorgere di pulsioni autoritarie, nostalgiche dell’uomo solo al comando, incuranti dei concetti di solidarietà, rispetto del prossimo, riconoscimento dell’avversario in quanto tale e non come “nemico”.
Pulsioni distruttive: innanzi tutto dei concetti fondanti della democrazia liberale e, di conseguenza, di tutti i contrappesi che regolano la vita nei Paesi di stampo liberale, e quindi del sistema parlamentare.
Impegnate nell’individuare similitudini storiche con quanto accaduto in Europa un secolo fa, concentrate nel denunciare forme di neofascismo, le forze progressiste (o comunque si vogliano denominare quelle che si sono assunte il compito di salvaguardare i princìpi su cui si basa la nostra Costituzione) sembrano aver perso di vista il cuore del problema: la disaffezione di ampi strati della popolazione (specie dei più giovani) allo spirito democratico, accompagnata da un sempre più imponente assenteismo elettorale.
Il fenomeno, lungi dall’essere limitato all’Italia, sembra essersi sparso a macchia d’olio nel mondo occidentale, contribuendo al generale ottundimento delle coscienze democratiche.
Una ricerca recentemente effettuata in Gran Bretagna dalla società di consulenza FGS Global, di prossima pubblicazione, ha rivelato che il 21 % delle persone di età compresa tra i 18 e i 45 anni preferirebbe un sistema politico basato su un leader forte, che prescinda dai meccanismi democratici tradizionali: parliamo della fascia di popolazione più attiva, proiettata nel futuro, responsabile dell’educazione delle future generazioni.
E qui risiede il nocciolo della questione: la nostra classe politica è consapevole del pericolo che corre l’Occidente? E soprattutto: è preparata a fronteggiarlo?
Perché niente sembra indicare che il potere politico sia concentrato su tali tematiche, impegnato com’è a consolidare le proprie posizioni, i propri voti, gli equilibri interni alla maggioranza; nel cui ambito i ministri a volte esprimono idee e atteggiamenti tra loro in contrasto, quando non diametralmente opposti, come se non facessero parte dello stesso Consiglio dei ministri.
Rispolverare un motto quale “Dio, Patria e Famiglia” scaraventa indietro di secoli la filosofia politica di una Nazione che ha combattuto per affrancarsi dalla dipendenza dalla Chiesa cattolica; ha rinunciato ad ampie porzioni di sovranità nazionale, con l’adesione ad accordi internazionali e sovranazionali; ha sviluppato una coscienza sociale inclusiva e rispettosa delle sensibilità individuali, che l’ha collocata nel novero delle legislazioni più avanzate nel campo del diritto di famiglia.
La povertà intellettuale di tanti esponenti politici, anche di primo piano, è forse figlia del generale depauperamento culturale del Paese, con la disastrosa conseguenza di optare per scelte politiche che seguono “la pancia della Nazione”, anziché ergersi a guida della stessa.
Ne consegue che chi governa, lungi dall’assumere l’incarico con spirito istituzionale e a favore dell’intera popolazione, persegue solo gli interessi della propria parte, cui deve le sue fortune e la sua carriera: il ministro che ha giurato sulla Costituzione non può poi esibire in ogni occasione pubblica un simbolo del suo partito (peraltro raffigurante un personaggio di fantasia), quasi a rivendicare la sua partigianeria in contrapposizione all’interesse generale che, come membro del governo, dovrebbe perseguire.
Resta infine da domandarsi: sono consci i nostri governanti della crisi che la democrazia liberale sta vivendo, sotto l’attacco di forze sostanzialmente sovversive ed ispirate ad un capitalismo puramente mercantile, o a forme autocratiche irrispettose della volontà popolare, o a ideologie permeate dalla commistione tra politica e religione?
Torna alla mente un famoso detto (generalmente attribuito ad Alcide De Gasperi): “Un politico pensa alle prossime elezioni, ma uno statista pensa alle prossime generazioni”.
E, per carità di patria, evitiamo di ricordare i tanti, i troppi, cui è stato immeritatamente attribuito il titolo di statista.