Patriottico l’amico del generale Rapetto (Giano News 14.1.25) nell’augurarsi, per il buon nome dello Stato proprietario e gestore dei binari nonché dei cittadini viaggianti, che gli inconvenienti di questi giorni abbiano origine extra chorum. Se si allunga lo sguardo sui tornanti della storia recente, i corsi e ricorsi storici che intuì Giambattista Vico nel 1700 – si parva licet componere magnis – parrebbero poter applicarsi anche alle ferrovie d’Italia. Dell’Italietta di inizio XX secolo. Di quella post marcia e della Repubblica. Dalla prima all’ultima. Alternarsi di efficienza – per quanto la tecnologia di periodo in periodo consenta – ed inefficienza endogena, escludendo gli eventi eccezionali del terrorismo e quelli ordinari degli scioperi.
I treni in orario di quando c’era Lui. I tempi del centro e della sinistra, quando chi nella stanza dei bottoni non lasciava vuota un’asola aveva l’esperienza per sentenziare che i pazzi, dalle nostre parti, sono di due tipi: chi si crede Napoleone e chi pensa di risanare le Ferrovie. Fino ai governanti in carica, contro i quali sembrano accanirsi soprattutto le bizzarrie dell’elettricità che, qua e là, mettono in pausa i pantografi.
Absit injuria verbis nel confrontare gli eventi attuali con l’antico inizio dei lavori per gli impianti della rete aerea e delle cabine di trasformazione della corrente nella Stazione “di” Termini, come si chiamava allora. Era, infatti, il giugno del 1935 – XIII anno dell’era fascista – e tre anni dopo, il 27 luglio 1938, partì l’elettrotreno inaugurale del servizio rapido Roma-Napoli. A bordo anche il ministro delle comunicazioni del governo Mussolini, Antonio Stefano Benni, che era ingegnere, professore e non fece fermare il convoglio a Ciampino.
Evento nuovo per velocità, rispetto a pochi anni prima, quando “si viaggiava così lentamente da aver tempo di leggere un romanzo di trecento pagine e di consumare un lauto pranzo”, ha scritto Pietro Scarpa (1956) raccontando anche di quando, marzo 1901, la Compagnia Internazionale Vagoni Letto invitò una quarantina di personalità alla “inaugurazione del servizio ristorante sul percorso ferroviario Roma-Napoli”.
Ben prima dell’ora fissata, le 11,30 del 25 di quel mese, i posti nello speciale vagone erano già tutti occupati dai viaggiatori “preoccupati solamente del ristoro”. Partenza in perfetto orario (al governo la sinistra di Giuseppe Zanardelli) e via alle portate: in vista di Ciampino, “ostriche del Fusaro fatte venire appositamente da Napoli”. Verso Colleferro consommè Berlignac e filetti di trota con salsa olandese. Poi, mentre scorreva il paesaggio della Ciociaria, “pomi all’inglese consistenti in polpette di carne sceltissima con ricchi contorni di verdura di ogni specie” e sosta a Cassino, ma per dar modo agli ambulanti del posto di vendere panini e acqua minerale ai “modesti e parchi viaggiatori occupanti i vari scompartimenti delle tre classi”.
A Capua “arrivò con sommo gaudio il pathé di fois gras e furono graditi petti, ali e cosce di fagiano”, mentre scorrevano a fiumi vini dei castelli romani, di Capri, di Pantelleria e del Chianti.
Tra Cancello e Napoli “bombe gelate croccanti e ripiene di crema vennero ad addolcire le bocche” dei viaggiatori i quali neanche si accorsero di essere ormai giunti a destinazione. Dopo quattro ore di pranzo durato come il viaggio “si sentì una voce che timidamente domandava: Siamo già arrivati?” Si, il treno era in orario, ma le portate no e lo spumante fu versato quando ormai i viaggiatori ordinari erano scesi.
D’altronde si sa, i viaggiatori non son tutti uguali così come le classi delle carrozze. Anche ai tempi nostri e ne sa qualcosa lo scrittore Alan Elkan, il quale, reduce da un Roma-Foggia dove lui che indossava “malgrado il caldo, un vestito di lino blu” ha riferito di aver trovato nello scompartimento i “lanzichenecchi, ragazzi in T-shirt bianca, pantaloncini corti neri e scarpe da ginnastica”. Che roba contessa! (copyright Paolo Pietrangeli). Torneranno mai gli antichi “corsi” onde l’illustre viaggiatore finisca la lettura del secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust? Compreso l’agognato capitolo “Sodoma e Gomorra”, città, peraltro, dai nomi evocativi di un ambiente da “parolacce e linguaggio privo di inibizioni” tipo quello palesato nell’inospitale carrozza ferroviaria.
Da poco, la Regione Veneto ha deciso di far affidare ai soldati in divisa il presidio monitorio sulle carrozze e, nelle stazioni, il ministro Piantedosi ha istituito le “zone rosse” per impedire che certa gente entri e che viaggiatori e ferrovieri ne siano turbati. Una mezza chiusura a tempo nel “ricorso” dei giorni d’oggi come il “corso” di quando, il 24 ottobre 1901, tutti gli ingressi “di” Termini vennero chiusi e vigilati dai carabinieri. Ma, allora, fu solo perché era in transito il terribile bandito Giuseppe Musolino, “atteso al pari dei personaggi importanti da prefetto, questore, colonnello dei carabinieri, comandante delle guardie di città” e tutto tornò alla normalità dopo che quel viaggiatore, trascinato con una pesante catena, salì sul treno per Catanzaro.
Così va in stazione e sui binari, talora bene, a volte no.
Giuseppe Prezzolini “l’eterno emigrante, ma in terza classe” ( Montanelli), in partenza per Firenze, annotò sul diario il 6 marzo 1971: “Per fortuna viaggiamo in treno” e, con la saggezza di quasi centenario: “La verità è la correzione di un errore e quindi l’errore fa parte della verità”. Vale anche per capire le cronache ferroviarie?
(foto articolo di Andrea Lombani)