La genericità del termine intercettazioni ha da sempre creato confusioni e fraintendimenti, sfruttati ad arte dagli attori che, a vario titolo, tendono a calcare questo palcoscenico.
A maggior ragione, quando si parla di un settore ancora più complesso e delicato, come quello delle “intercettazioni telematiche”, come vengono indicate nella asettica nomenclatura ministeriale, quelle che nel comune immaginario vengono definite con parole come TROIAN, RAT ed altre, evocando l’attività di incappucciati Hacker che nell’ombra entrano nei computer e nei telefonini delle persone.
Cerchiamo, evitando di essere troppo soporiferi, di fare un minimo di chiarezza ad appannaggio di quella che, in gergo giornalistico, è definita: la sciura Maria, ovvero l’utente medio, che non ha alcuna conoscenza della tematica e che spesso è fuorviata dalla sola lettura dei titoli di giornali che, come noto, devono solo colpire l’immaginazione del lettore, per carpirne l’attenzione, non riscontrando completamente il contenuto dell’articolo.
Le intercettazioni, in senso stretto, almeno in Italia, sono legalmente autorizzabili solo da un Magistrato che nell’ambito di un procedimento penale, ne ravveda la necessità, per poter procedere con le attività di indagini. Quindi il Magistrato, a mezzo di un decreto, autorizza la Polizia Giudiziaria, supportata da una Società di servizi tecnici, accreditata nella Procura della Repubblica di riferimento, ad effettuare tutte quelle azioni necessarie a che gli operatori di Polizia Giudiziaria, incaricati dal magistrato, e sottolineo solo loro, possano effettuare tutti gli ascolti o quant’altro necessario.
Quindi pur essendo imprescindibile l’intervento di un soggetto privato, che peraltro deve essere nominato “ausiliario di PG”, per essere sottoposto a tutti i vincoli di riservatezza previsti per la stessa polizia giudiziaria, le sue attività si limitano all’effettuazione dei soli interventi tecnici necessari a dare corso alla richiesta del magistrato, lasciando alle forze di polizia incaricate, l’effettuazione degli ascolti e quant’altro necessario.
Passando a trattare direttamente le intercettazioni telematiche, queste hanno bisogno oltre che di personale tecnico altamente specializzato, anche per la sola parte di infezione del target dell’utente da intercettare, di strumenti e software particolari, a loro volta sviluppati e manutenuti da tecnici con elevate e specifiche professionalità, che devono essere inoculati nel PC o nello smartphone della persona oggetto dell’indagine, possibilmente senza lasciare tracce evidentissime e superando tutte le protezioni utilizzate.
Per quanto riguarda il software da inoculare, negli ultimi anni, il Ministero della Giustizia, per il tramite delle Procure della Repubblica, ha emanato tutta una serie di prescrizioni che tendono a poter controllare in modo specifico che oltre ad essere di proprietà della società incaricata, sia perché si possa essere certi che i “sorgenti” non abbiano bug (errori del software) o back door (porte di accesso nascoste) imputabili ad altri, sia perché sussistano tutta una serie di opzioni che, criptando i dati, facciano sì che solo chi è effettivamente autorizzato, possa venire a conoscenza delle informazioni acquisite, oltre ad evitare, con opportune registrazione – log in -, di tutte le operazioni che vengono effettuate, che si possano scaricare dati dal target sotto osservazione o, ancor peggio, caricare dati estranei nel target, in modo nascosto.
Analizzando le vicende attualmente alla ribalta dell’opinione pubblica, relative all’affaire Paragon, ammesso e non concesso, che l’origine delle intercettazioni sia italiana, è tecnicamente impossibile che sia connessa ad una qualsivoglia attività di polizia giudiziaria e della magistratura, perché, in base alle attuali norme, il software Paragon, non potrebbe essere fornito da alcuna delle società che operano nel settore, in quanto non di proprietà, dovrebbe essere stato acquisito dalla società israeliana, direttamente da qualche Procura, cosa praticamente impossibile, sia per i costi improponibili, tenuto conto che le società israeliane non concepiscono il meccanismo del noleggio, ma solo la vendita di licenze di utilizzo, sia per la mancanza di specifiche professionalità, nello staff delle Procure, necessarie per la gestione del software.
Ovviamente non può essere escluso che altri Enti centrali abbiano acquisito il software, anche se esistono varie perplessità che si evita di affrontare in questa sede, rimandando ad altri scritti, per evitare la realizzazione di un’opera Omerica, ma un punto di riflessione è rappresentato da una semplice considerazione: quale Ente italiano spenderebbe milioni di euro, per poi mettere a rischio, l’investimento, la reputazione e la distruzione di carriere, per intercettare Casarini o le ONG?
Nel resto del mondo, DeepSeek è oggetto di restrizioni dovute a dubbi e controlli delle autorità sulle modalità di gestione...
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