Il destino del popolo palestinese e dei suoi territori si trova ad un punto di svolta critico, segnato da tensioni geopolitiche, minacce di sfollamento forzato e sfide legali internazionali.
Le recenti dichiarazioni di Donald Trump, che ha proposto la deportazione della popolazione palestinese di Gaza, hanno suscitato forti reazioni a livello regionale e globale, alimentando preoccupazioni sulle implicazioni a lungo termine per la sovranità palestinese e la stabilità della regione.
Trump ha apertamente sostenuto la rimozione forzata di circa due milioni di palestinesi che sarebbero ricollocati tra Egitto e Giordania paesi nei quali – a suo dire- vivrebbero una vita meravigliosa, mentre Stati Uniti ed Israele ricostruirebbero Gaza sotto il controllo americano, che terrebbero nella loro disponibilità
Questo era il “sogno americano” che ipotizzavo nel mio articolo di novembre scorso (https://www.giano.news/2024/11/03/palestina-nuovi-ghetti-in-arrivo/), un articolo che anticipava di parecchie settimane le dichiarazioni pubbliche del nuovo presidente USA.
Questa proposta implica una trasformazione demografica e politica permanente e viola apertamente il diritto internazionale, o ciò che ne resta, in particolare l’art.49 della Quarta Convenzione di Ginevra il quale vieta il trasferimento forzato o la deportazione delle popolazioni protette dai territori occupati. Se attuata costituirebbe un crimine di guerra.
Sia la Giordania che l’Egitto hanno categoricamente respinto l’ipotesi di accogliere palestinesi espulsi, considerandola una minaccia diretta alla loro sicurezza nazionale e alla stabilità della regione. In particolare, il re di Giordania ha ricordato che il suo paese accoglie già circa due milioni di rifugiati palestinesi e le risorse limitate, ad esempio la scarsa disponibilità di acqua, ricadrebbero anche sui giordani (che non superano i 12 milioni di persone) rendendo la situazione insostenibile. Nel frattempo, le truppe giordane sono state schierate verso le frontiere.
La disponibilità acqua è un altro degli obiettivi perseguiti da Israele nel corso delle varie guerre contro i palestinesi, e sarebbe interessante approfondire come anche questa volta abbia colpito dighe e invasi oltre alla rete idrica per annichilire gli agricoltori e le popolazioni nelle zone interdette ai coloni.
Anche il governo egiziano ha iniziato a dispiegare i carri armati verso il confine con Gaza segnalando la sua ferma opposizione allo sfollamento dei palestinesi.
Il governo saudita si è espresso in modo netto contro l’ipotesi trumpiana condannando altresì l’espansione degli insediamenti israeliani e le annessioni territoriali, ribadendo che qualsiasi normalizzazione delle relazioni con Israele dipenderà dai progressi verso una soluzione a due stati.
La Lega Araba e gli Stati del Golfo hanno espresso forti preoccupazioni per le possibili conseguenze dello sfollamento forzato ed il prevedibile conseguente effetto domino che questo potrebbe avere nell’area.
Nel frattempo, Israele ha pronto un piano di intervento militare nel caso in cui le trattative con Hamas per il rilascio degli ostaggi non vadano a buon fine. Attualmente due divisioni presidiano il confine con Gaza ed il corridoio Filadelfia lasciando intendere la possibilità di avviare in qualsiasi momento azioni mirate contro i centri nevralgici.
In questo scenario convulso, l’Organizzazione Internazionale per i Migranti – agenzia delle Nazioni Unite – sta chiudendo i propri uffici nel mondo a causa della drastica riduzione di fondi, decisa dagli USA anche attraverso la soppressione di USAID.
Sebbene l’idea di una Gaza spopolata e sotto il controllo USA difficilmente otterrà legittimità globale, l’ipotesi solleva interrogativi allarmanti sul futuro e la stabilità regionale e sul rispetto del diritto internazionale. L’Europa procede in ordine sparso, aspettando qualcuno che serri le file, ma il quadro è desolante.
Le prossime settimane la diplomazia ed il diritto internazionale determineranno se il futuro della Palestina, e non solo, sarà segnato da una rinnovata lotta per la sovranità e la giustizia.