A Parigi oggi, ma non come allora, quando nel 1947 si riunì il mondo per la pace dopo la seconda guerra mondiale. Solo in otto, pochi di più dei “quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo” e, purtroppo, senza grandi idee e forza per cambiarlo. Perché ci stavano pensando altri e altrove, ponendo pure la parola fine a quella parte della storia in cui i trattati di pace, e anche di guerra, venivano firmati lì a Parigi o, comunque, nel continente che, e la cosa lo conferma, si è fatto “vecchio”.
Eppure, in epoca recente, nel 1916, Francia e Inghilterra si spartirono il Medio Oriente con l’intesa Sykes-Picot. Oggi, inversione a U: Russia e Usa si incontrano a Riad, proprio in Medio Oriente, per decidere sull’Europa.
Che l’oggetto della trattativa sia questione di confini e di ritorno alla normalità della popolazione ucraina sembra però un po’dubbio, visto il trattamento riservato a Zelensky, il quale sarà pure attore di professione, ma da tre anni e sui palchi di mezzo mondo viene ascoltato e applaudito in quanto presidente della “martoriata Ucraina”.
L’impressione è che la pace militare sia piuttosto un corollario, se non il pretesto per un’altra guerra. Come spiegare altrimenti la ricostruzione ipotizzata contro cessione agli USA della metà delle risorse naturali del territorio campo di battaglia: dal petrolio, al gas, ai porti fino, e soprattutto, ai minerali? Tanto rari, questi, quanto indispensabili ai marchingegni senza cui l’attuale “civiltà” rischierebbe molto. Microchip e batterie, per citare qualche applicazione, che non si costruiscono senza metalli rari i quali si estraggono, appunto, dalle terre rare. Quelle che la Cina possiede e soprattutto le sa raffinare e utilizzare. Leader del mercato con conseguente abilitazione a dominare, con esso, il mondo. Più del 60% delle estrazioni, l’85% nella raffinazione, il 35% del nichel ed il 58% del litio, il 65% del cobalto rispetto al resto del mondo e, ad esempio, il 90% della produzione dei magneti, componenti indispensabili per veicoli elettrici o turbine eoliche.
Anche il sottosuolo dell’Ucraina ha sue significative potenzialità in terre rare ed è naturale che gli americani vogliano impossessarsene e lo facciano, d’accordo con la Russia che vorrebbero associata nella “guerra della sabbia”, come è stata definita, dalla quale dipenderà il caldo e il freddo, i movimenti, la produzione ed il lavoro, il benessere dell’umanità nei prossimi anni.
Meraviglia, dunque, che sia lasciata fuori delle porte del palazzo di Riad la vecchia Europa, con la ampollosa pomposità delle sue pandette e dei suoi riti, ora che non c’è più bisogno di majorettes da far sfilare per declamare la difesa dell’Ucraina dovere morale scritto nel manuale del buon democratico? Con i perduranti suoi litigi ancestrali, le lungaggini dei processi decisori, quando due paginette di ordini esecutivi della Casa Bianca cambiano la geopolitica mondiale e una telefonata di Trump trasforma il nemico in amico? Iniziativa di un uomo, Trump, o volontà del popolo americano le cui istituzioni “democratiche” non lo bloccano?
Davvero finisce la guerra dei droni ed inizia quella delle scavatrici?
E tutto a Riad, nell’Arabia Saudita, dove si costruisce la “città del futuro” grande quanto il Belgio, con energia pulita grazie al sole del deserto ed ai venti dal mar Rosso, domicilio eletto per ogni esperimento di Intelligenza Artificiale, super tecnologica, ma anche snodo strategico.
Mohammad bin Salman Al Sa’ud ci sta investendo 500 miliardi di dollari, più del Pil di alcuni paesi europei messi insieme e, a Riad, i potenti del mondo provano a rispartirsi la terra.
Con gli occhi stavolta al resto del cosmo. Dopo la luna, Marte, per conquistare il cielo.
Per il loro orgoglio, sempre preparati alla guerra, come sono.
Qualche millennio fa, da quelle parti, in Babilonia, costruirono la Torre di Babele….e la Cina, allora, era lontana.
Foto di Andrea Lombani