Intorno al letto di un papa, quando sta male, ne son successe sempre tante e se ne sono raccontate di più. Cosicchè, dopo una settimana di comunicati stampa, vedere finalmente in faccia, in tv, i medici che lo curano e sentirli dire, sullo stato dell’infermo Francesco, la verità cui son tenuti dal giuramento di Ippocrate, è cosa giusta. Sarebbe stato lo stesso Francesco a chiedere loro di “non nascondere nulla”. Come aveva fatto Leone XIII nel 1903, quando novantenne ed allettato, “ordinava di aprire i battenti del Palazzo ai fedeli per renderli partecipi e testimoni del suo trapasso”.
Lascia perplessi, però, l’affermazione che “Il papa ha capito che chi sta sempre con il paziente è l’infermiere e l’infermiere insieme al medico decide la terapia”. Parole che il sito “Silere non possum”, ben addentro alle cose vaticane e votato a parlarne, spiega con il fatto che Francesco, piuttosto timoroso delle malattie, si fiderebbe soprattutto del suo infermiere, l’Assistente Sanitario Personale”, il quale sarebbe l’unico in grado di convincerlo a ricoverarsi, fare radiografie, seguire terapie. Tanto che, sottolinea Silere, il comunicato vaticano del 18 febbraio precisando che il ricorso alla TAC sarebbe stato prescritto congiuntamente dalle equipes vaticana e dell’ospedale, definisce la seconda “medica” e la prima “sanitaria” Aggettivo quest’ultimo usato come “versione ricercata perché non si può parlare di medici” stante il “ruolo” dell’infermiere papale.
D’altronde, fu proprio Francesco a rivelare che è stato questo suo infermiere a salvargli la vita quando nel 2021 subì l’operazione al colon e da un’altra infermiera ebbe lo stesso beneficio nel 1957, una suora italiana che, opponendosi ai medici, scelse lei una terapia.
Anche la salute del predecessore Pio XII era particolarmente protetta da “suor Pascalina”, l’assistente personale tedesca che, nel febbraio 1954, confidò:” Se il papa fosse affidato a un clinico, anche autorevolissimo, sarebbe morto. Soltanto noi sappiamo cosa fare”.
Pio XII, in fatto di medici, era, peraltro, piuttosto creativo. Infatti, a curarlo per un fastidioso singhiozzo e dolori gastrici aveva chiamato, attribuendogli il titolo di archiatra pontificio, Riccardo Galeazzi Lisi che però era un un oculista… fidando forse che fosse bravo quanto il fratello i Pietro, architetto di fama cui aveva conferito l’incarico di Direttore dei servizi tecnici del suo Stato.
Per sostenerne il benessere generale, aveva, invece, scelto un endocrinologo svizzero, il professor Paul Niheans che mensilmente scendeva a Roma per praticargli una speciale iniezione a base di cellule animali. Medicina alternativa, elisir di lunga vita, ma, fra i tendaggi dei sacri palazzi, si alludeva a “stregoneria: sembra che Niehans vada a strappare feti ancora vivi dal ventre delle capre, poi caldi li taglia a fettine, schiaccia e mescola il tutto, estraendo un liquido che sembra faccia ringiovanire”.
La convivenza professionale tra i due medici non fu facile, ma ambedue furono nominati membri della Pontificia Accademia delle scienze.
Quando Pio XII morì, Galeazzi volle sperimentare sul cadavere una forma di imbalsamazione di sua invenzione: erbe aromatiche simili, sosteneva, a quelle usate duemila anni prima per il corpo di Gesù e avvolgimento della salma nel cellophane.
L’effetto fu terribile. All’ingresso della basilica di san Giovanni in Laterano, nella sosta del lungo corteo funebre proveniente dalla Villa di Castel Gandolfo dove il pontefice era morto, un boato rivelò gli effetti della accelerata decomposizione del corpo e, durante l’esposizione in san Pietro, il macabro odore era insopportabile al punto da portare allo svenimento le guardie d’onore accanto al catafalco.
Intanto, però, il medico che Pio XII si era scelto come archiatra, il Galeazzi Lisi, aveva dato venduto foto intime del papa e un diario in cui non si risparmiavano particolari fisiologici dell’agonia, contrattando pure l’anteprima della notizia della morte. Per un errore nella interpretazione del segnale convenuto (un certo movimento dietro una tenda), un giornale romano uscì in edizione straordinaria il giorno prima del reale decesso.
Pio XII morì il 9 ottobre 1958 e il giorno dopo la già riveritissima suor Pascalina governante e infermiera, intimata dal cardinale Decano Tisserant di lasciare subito il Vaticano, veniva “salutata appena con un cenno del capo. Nessuno le sorrise e anche l’ultimo pretino ha osato levare lo sguardo su di lei”. Per vent’anni, l’avevano ossequiata con timore come una “papessa”, Ma “quando è uscita era soltanto una suora, una suora come tante altre”, perché a Roma, città eterna, “Morto un papa se fa un altro”.
Foto di Andrea Lombani