Quasi trent’anni fa – con due miei colleghi della oggi soppressa Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione – ci si prese la briga di spiegare che Internet era una cornucopia di meraviglie, ma poteva avere delle controindicazioni per i giovanissimi.
Se ne fece un libro dal titolo accattivante: “Genitori, occhio ad Internet”. Eravamo convinti di dare qualche suggerimento per tenere “al guinzaglio” i più piccoli, così da evitare l’impatto traumatico che la Rete delle Reti poteva riservare a chi vi approdava senza la dovuta preparazione e a quelli che in quel momento vedevano in affanno la propria missione educativa.
Era il 1997. Chi all’epoca era alle scuole medie, sui documenti scopre oggi di essere sulla quarantina e girando per casa di avere ragazzini incollati a smartphone e tablet. I suoi genitori, quelli cui era indirizzato il nostro lavoro in equilibrio tra divulgazione e consapevolizzazione, sono nonni e – pur avvisati a tempo debito – hanno il coraggio di lamentarsi di capire poco o nulla di quel che succede con certe diavolerie.
E’ ovvio che non c’è rimedio ed è altrettanto lampante che non può trovare spazio nemmeno la speranza che qualcosa cambi.
Nonostante questa premessa, la caparbietà che ha segnato i miei trascorsi è inossidabile e quindi non mi arrendo. Non mi fermo, anche se sono cosciente che – come nei quiz televisivi dei tempi del Rischiatutto – il tempo a disposizione stia per finire.
Non credo assolutamente a feroci divieti e ai rigidissimi controlli: so perfettamente che i ragazzini sanno dribblarli e che certe furbizie li fortificano malamente. Ma occorre fare qualcosa prima che sia troppo tardi, perché la stagione dell’Orco cattivo online è finita o quanto meno è significativamente appassita.
Il problema adesso è diventato proprio lo strumento tecnologico, senza che ci sia alcun bisogno di fare brutti incontri o incappare in contenuti nocivi o semplicemente inadeguati: sono in ballo i rapporti di dipendenza e i condizionamenti psicologici che possono sfociare in tragedia con una facilità inimmaginabile.
Isolamento, depressione, autolesionismo, atteggiamento violento, perdita di valori, travisamento delle relazioni sentimentali e sessuali, sconvolgimento dell’alimentazione, istinto suicida: l’elenco potrebbe proseguire all’infinito ma ci accontentiamo delle prime cose che vengono in mente a chi è costretto a constatare che non si fa nulla per evitarlo.
Le Istituzioni sono assenti o si trastullano in iniziative inutili o dannose (si legga ad esempio quel che sono stato costretto a scrivere nel settembre 2023, nei giorni 6, 7, 8 e 9) e quindi tocca rimboccarsi le maniche per salvare il salvabile.
Prendendo spunto dalle raccomandazioni sanitarie pubblicate nel 2024 dalla American Psychological Association, si può tratteggiare un sintetico decalogo per frenare la caduta libera…
I giovanissimi che usano i “social” dovrebbero essere invogliati a servirsi delle funzioni di aggregazione, supporto, compagnia e socializzazione. Adesso molte piattaforme stanno presentando versioni su misura per i teenagers, ma non sono i recinti a tenere a bada i minori. Gli adolescenti dovrebbero essere monitorati facendo prevalere sul controllo le azioni di discussione, confronto e istruzione sull’impiego di certe opportunità tecnologiche.
L’autonomia può aumentare gradualmente con l’età, ma genitori e insegnanti devono parimenti “crescere” nella padronanza di strumenti e soluzioni, abbandonando l’alibi del “non essere nativi digitali”.
La supervisione deve essere bilanciata con il rispetto delle appropriate esigenze di privacy dei giovani, avendo però cura di evitare che i più piccini siano esposti a contenuti illegali e psicologicamente distorsivi e disadattivi, I social, infatti, straboccano di istigazioni a tenere comportamenti rischiosi per la salute e l’incolumità. Parliamo di qualsivoglia induzione a inseguire modelli di bellezza irraggiungibili, a farsi del male o far danno ad altre persone, a scatenare odio e discriminazione, a generare emarginazione e atti violenti e vandalici.
Se il web ha innescato negli adolescenti il rischio di incappare in brutte esperienze e ritrovarsi vittime, i social hanno saputo trasformare i giovanissimi in carnefici privi del più elementare rispetto per se stessi e per gli altri.
Forse ci sarebbe necessità di uno “screening”, ciclicamente ripetuto, per sondare le condizioni dei nostri ragazzi e individuare i segnali di un uso problematico dei dispositivi mobili, delle “app” e delle piattaforme social. Soprattutto si deve offrire alla gioventù una alternativa a restare incollati con quei dannati aggeggi tra le mani.
Va spiegato ai piccoli che il mondo reale è più bello, appassionante e davvero tridimensionale senza accorgimenti software o alchimie grafiche,
Poi, al contrario del mondo del lavoro – dove tutti vanno a caccia del posto fisso – qui va fatto capire che “esser dipendenti” non è affatto un traguardo di cui andare orgogliosi.