Sono passati esattamente ottocento anni dalla stesura deI Cantico delle Creature di Giovanni di Pietro di Bernardone , ossia San Francesco, in San Damiano di Assisi e trovo via sia qualcosa di mescolato tra il trascendentale e il provvidenziale che coincidano nello stesso corrente anno 2025 eventi e fattori intrinsecamente correlati tra di loro : la ricorrenza dell’ ottavo Centenario della composizione del Cantico appunto, la celebrazione dell’ Anno Giubilare della Speranza regnante un Pontefice Romano di nome Francesco, come l’ autore del Cantico, primo Vescovo di Roma a imporsi quel nome così caro a tutti noi. Tra il 1224 ed 1226 Francesco è un uomo gravemente malato e sceglie di trascorrere questo difficile periodo da infermo al convento di San Damiano, è dolorante ed ha le stigmate già presenti nel suo corpo ed i suoi occhi sono gravemente affetti da cecità, e sceglie quel luogo in quel particolare momento della sua vita perché gli ricorda le origini della sua vocazione, del suo percorso. San Damiano infatti è il luogo dove il Crocifisso gli aveva parlato, dove gli occhi e lo sguardo del Cristo crocifisso lo avevano totalmente sedotto. Negli anni precedenti, nel 1219, egli si era recato nelle terre d’ oltremare dov’ era rimasto per diversi mesi e da cui, rientrando in Italia, aveva riportato ulteriori piaghe a martoriarne il corpo già abbondantemente provato : i monaci confratelli ricordano infatti che egli, “ per lungo tempo fino al giorno della sua morte , fu malato di fegato, di milza e di stomaco “in aggiunta, durante il soggiorno in Egitto, aveva contratto “ una gravissima infermità agli occhi che finì per renderlo progressivamente cieco”. A queste sofferenze fisiche andavano ad aggiungersi quelle interiori non meno laceranti. Francesco benché fortemente indebolito e cieco trovò la forza per spostare lo sguardo dalla sua condizione di afflitto e lo rivolse alla bellezza di Dio e del Creato, e lo fece dettando dei versi, le Laudi delle creature a lode e Gloria di Dio.
Giova a questo punto ricordare un po’ di storia della letteratura italiana. Due sono i documenti da cui si fa nascere la lingua italiana ed ambedue, non a caso, sono dei documenti nati e composti in recinti sacri, nei Monasteri. Il primo è il Placito Cassinense del 960 d. C. un placito notarile dell’Abbazia Benedettina di Montecassino riguardante una disputa giuridica per una proprietà di un terreno e il secondo è Il Cantico delle Creature di San Francesco d’ Assisi unanimemente considerato il testo poetico più antico della letteratura italiana composto a più riprese tra il 1224 ed il 1226.
La mia prima naturale curiosità sortami scorrendo gli immortali versi del Cantico è stata quella di capire da quali fonti possano essere sgorgate metafore così altamente spirituali e dove si trovino le radici di una composizione così universale. La risposta è semplice, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alla Bibbia, infatti in più parti nei libri biblici sono presenti lodi al Dio Creatore, ed i più significativi si trovano in quel libro unico ed eccezionale che è il Salterio, tra i Salmi o Tehillim dunque, antichissime lodi cantate. Un libro quello dei Salmi tra i più significativi e dedicato totalmente alla preghiera che fin dalle origini la Chiesa cristiana ha fatto suo testo di lode, l ‘ antico monachesimo lo ha addirittura eletto a libro di preferenza congiuntamente ai Vangeli, imparandolo a memoria e ripetendolo ogni giorno, e persino il filosofo Friedrich Nietzsche, che veleggiava molto lontano dall’ eredità ebraico cristiana, era costretto a riconoscere in Aurora che “ per noi Abramo è più vicino di ogni altra persona della storia greca o tedesca e tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro o Petrarca c’ è la stessa differenza tra la patria e la terra straniera “ .
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Il testo del Cantico dopo i versi introduttivi, immediatamente trasmette la sua universalità ed è in grado di unire la spiritualità cristiana con altre visioni filosofiche differenti, non sostiene persino il pessimista Arthur Schopenhauer che la luce è la più gaia di tutte le cose? ed è gioco forza per Francesco iniziare a ringraziare Dio specialmente per “messor lo frate Sole” quando con la sua comparsa ci rallegra la giornata. L’ intero testo seppur composto ottocento anni fa ha già una profonda visione ecologica del mondo, celebrando il rapporto inscindibile tra l’uomo, le altre creature e gli altri elementi che caratterizzano la realtà ed il divino. Ma torniamo al punto cui ci eravamo proposti di analizzare, cioè da quali parti puntuali delle sacre scritture questi versi come fronde ricolme di fiori, foglie e frutti di un albero incontrano il tronco che le unisce alle loro radici sacre. Si deve partire allora dal Salmo 104 che celebra la grandezza di Dio, un vero e proprio inno all’ unico e vero Signore dell’Universo e alla creazione che l’ uomo contempla con meraviglia , stupore e gratitudine. Il Salmo 104 è un cantico delle creature ampio e solenne ed alcuni studiosi hanno trovato nei suoi versi un rimando allusivo ancora più anteriore, ovvero ad un inno egiziano, quello che il Faraone “monoteista “Akhenaton (XIV sec. a. C.) dedicò al dio Aton, incarnato nel disco solare, che illumina e fa vivere la Terra. La lettura del Salmo e dei suoi 35 versetti ci consegna in modo cristallino questi simboli ed una serie di quadri pittoreschi si succedono come in una sceneggiatura. Il Creatore entra subito in scena e da origine al Creato dalle acque del caos primordiale, emerge l’universo e si concentra sulla Terra, che rende ricca e feconda di acque piovane e sorgive, successivamente viene disseminata da fiori, alberi da frutta e da animali. L’ uomo è al centro e si ciba del pane accompagnandolo con la bevanda del vino e fa brillare il suo volto con l’ olio, con l’ olio si fissano anche le essenze profumate in Oriente. Pane vino e olio: i tre prodotti tipici e fondanti la civiltà mediterranea, divenuti anche i simboli del cristianesimo. Il fluire del tempo è regolato dalle clessidre cosmiche del Sole e della Luna, il salmista orante termina il canto gioendo in Dio “Benedici il Signore, Anima mia. Alleluia.”. Un altro Salmo che ricorda fortemente il Cantico delle Creature è il 148, in cui c’è un imperativo categorico dettato a tutte le creature che le invita a Lodare Dio. Il Salmo 148 è una grandiosa coreografia una specie di grande inno scenico che ha sullo sfondo una sfilata di grandi figure cosmiche che intonano l’Alleluia, ma su questo fondale vengono fatte passare ventidue creature tante quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico. Idealmente si vuole immaginare che sole, luna stelle, animali, alberi da frutto tutta la realtà creata, l’alfabeto colorato dell’universo venga convocato dall’ uomo che diventa il liturgo, il sacerdote ideale di questa teofania che canta la sua Alleluia. Infine il brano biblico che più si può comparare al Cantico delle Creature sono i primi versetti del Salmo 136 in cui, unico caso del Salterio si loda Dio “per“ le sue creature. Il creato viene riconosciuto come la prima opera prodigiosa di amore di Dio per l’uomo, per noi. Anche nel cantico di San Francesco si mette l’ accento sulle creature: il grande si rivela nel piccolo e il Dio lontano si fa vicino, come ha descritto e musicato magistralmente il maestro Angelo Branduardi nel suo indimenticabile album “l’ Infinitamente piccolo “, musica basata su fonti francescane e composta ed eseguita oltre che da Branduardi da altri musicisti e compositori del calibro di Ennio Morricone, I Madredeus , la Nuova Compagnia di Canto Popolare ed il mistico Franco Battiato , che ho avuto il singolare privilegio di conoscere. Al centro del Salmo 136 non c’è la preghiera a Dio per se stesso , ma la lode a Dio perché ci dona ogni giorno le sue creature e loro tramite ci da sostentamento.
Proprio da Angelo Branduardi e da una sua intervista ho appreso che San Francesco, che non voleva possedere nulla, era legato ad un piccolo strumento, un corno, tecnicamente si chiama Olifante, che gli era stato donato dal Sultano di Babilonia. Nella Sala capitolare della Basilica Inferiore di Assisi è ancora conservato: è un corno d’ avorio che di ritorno dalla missione il Santo utilizzava per richiamare i fedeli alla preghiera alla stregua di uno shofar. E merita tutta la nostra attenzione l’uso degli strumenti musicali connessi alla preghiera, perché il suono, intangibile materialmente, è all’origine dell’universo stesso
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