State tranquilli, non voglio parlarvi di A Streetcar Named Desire, film del 1951 diretto da Elia Kazan, con protagonisti Vivien Leigh e Marlon Brando.
Lontano dal desiderio evocato dal titolo del celebre film, il mio interesse oggi si sposta verso un argomento meno artistico ma altrettanto carico di implicazioni: l’attuale panorama politico americano. Negli ultimi giorni, molti di noi hanno cercato di comprendere come i recenti cambiamenti della politica negli USA possano ancora riflettere i principi della Bill of Rights: i dieci emendamenti che tutelano libertà individuali e giustizia, limitando i poteri governativi fonte di ispirazione per altre carte costituzionali. Quei valori, per intenderci, che fecero sognare e desiderare ad intere generazioni il sogno americano.
Di particolare interesse è l’azione intrapresa dal Department of Government Efficiency (DOGE), nonostante il nome possa far pensare, visto il periodo, al Carnevale di Venezia. Questo dipartimento, affidato a Elon Musk, si è distinto per le drastiche riforme amministrative, inclusa la chiusura di agenzie federali giudicate superflue e il controverso licenziamento di tutto il personale della National Nuclear Security Administration, decisione rapidamente revocata dopo la comprensione del delicato ruolo dell’agenzia nella sicurezza nazionale.
In particolare, i dipendenti sono stati licenziati e richiamati in servizio nel giro di 24 ore, peraltro con grandi difficoltà perché i collaboratori del padrone del social media X avevano cancellato i files personali dell’ufficio risorse umane. Se sorprende la rapidità e la linearità dei tagli drastici alla pubblica amministrazione a stelle e strisce, tuttavia si resta basiti rispetto alle modalità con le quali tutto ciò avviene: zero empatia verso gli umani.
Altre mosse significative includono lo smantellamento dell’USAID, un pilastro della cooperazione internazionale americana, e la recente decisione di pretendere le ingenti risorse minerarie dall’Ucraina come compensazione per l’aiuto militare americano, nonostante l’aspro dibattito che si è svolto al Congresso tra chi sostiene la trumpiana teoria che la Russia non abbia invaso l’Ucraina e chi la contesta con dati incontrovertibili alla mano (vi esorto a cercare il video dell’intervento accorato del repubblicano Lynch tra gli altri).
Recentemente, il presidente degli Stati Uniti ha optato per una comunicazione non convenzionale: un breve video realizzato con AI pubblicato sul suo canale social, intitolato “Trump Gaza”. In questo video, le immagini generate artificialmente alternano soldati israeliani a Gaza accanto a bambini macilenti a scene dal sapore vacanze a Miami, fondendo politica e spettacolo in una maniera distintamente trumpiana, un mix tra kitsch e una rappresentazione quasi grottesca del contesto medio orientale. Notabilmente assente è qualsiasi riferimento alle sofferenze delle vittime dei conflitti rappresentati, mentre prevale una narrazione superficiale e spettacolare.
A seguito della pubblicazione del video, oltre alla quasi globale indignazione, hanno fanno riflettere alcuni silenzi degli alleati trumpiani italiani, cosi come alcune affermazione affidate ovviamente a X di giornalisti e politici che giustificano se non addirittura plaudono al messaggio per la ricostruzione di un paese per altri.
Queste iniziative, spesso percepite come eccentriche, sollevano interrogativi critici sulle attuali direzioni politiche americane e sulla loro aderenza ai valori fondamentali del paese. Secondo alcuni si tratterebbe di una sofisticata strategia comunicativa chiamata “schiacciamento psicologico”: colpire ogni giorno l’opinione pubblica con massaggi carichi di retorica che generano sconcerto e confusione per distrarre, disorientare e normalizzare l’assurdo.
Forse il video più che rappresentare e far desiderare un mondo distopico sintetizza quanto molti in fondo sognano. Trump ha molti desideri: Gaza beach, la conquista e l’annichilimento economico dell’Ucraina per la quale qualcosa in Europa sembra agitarsi. Tuttavia, questo rinnovato coraggio europeo sembra mancare quando si affrontano le questioni tra Israele e Palestina, l’espansione in Cisgiordania e i l’estensione del conflitto in Libano e Siria.
Il dibattito su tutti questi temi, benché privo dell’immediatezza del cinema, richiede un’analisi approfondita e critica per comprendere appieno le dinamiche in gioco e le loro ramificazioni a lungo termine. Speriamo di non essere giunti ai titoli di coda.