La geologia è la cassaforte ucraina, particolarmente ricca di materie prime critiche per la produzione di batterie ad alte prestazioni e tecnologie evolute. Tale abbondanza ha un peso significativo sulla bilancia economico-finanziaria perché va ad alterarne gli attuali equilibri.
Le risorse ucraine si prospettano molto competitive in almeno cinque materiali che risultano fondamentali nell’attuale scenario, ossia grafite, litio, titanio, berillio e uranio. La fragilità di un Paese stremato da tre anni di guerra è evidente e il governo di Kiev aveva addirittura predisposto una sorta di Atlante degli Investimenti, in cui erano riepilogate una serie di opportunità di business minerario, prefigurando aste elettroniche e bandi di gara di varia natura per procedere alla aggiudicazione delle concessioni di sfruttamento e prevedendo l’approvazione di una serie di interventi normativi per garantire una certa libertà di azione a chi fosse interessato a farsi avanti.
L’Ucraina ha il 6 per cento delle riserve globali di grafite, di cui vanno golosi i produttori di accumulatori o batterie che dir si voglia, e sognava di sviluppare industrie proprio in quel settore. Zelensky immaginava partnership, ma ha sottovalutato che volano bassi gli avvoltoi statunitensi, europei, canadesi e britannici che vogliono spezzare il monopolio cinese. Negli USA ad avere nel mirino la grafite ci sono EnerSys e Tesla. La prima fornisce sistemi e tecnologie di accumulo di energia per applicazioni industriali e produce batterie di riserva e di potenza motrice, caricabatterie, apparecchiature di alimentazione e una vasta gamma di accessori. L’azienda di Elon Musk, invece, ha – alcuni in esercizio e altri in cantiere – stabilimenti di produzione di accumulatori per le proprie vetture.
Analogo discorso vale per il litio, la cui disponibilità – pur limitata all’1 per cento planetario – è quella più elevata nel Vecchio Continente. Sono in ballo concessioni ventennali nella zona di Zaporizhzhia e nella regione del Donetsk e una cinquantennale nel Kirovohrad…
Interessati all’affare le statunitensi Livent, Albemarle e – ovviamente – Tesla. La Livent produce e commercializza composti di litio ad alte prestazioni utilizzati principalmente in batterie, polimeri speciali e applicazioni di sintesi chimica. La Albemarle, 7mila dipendenti in 100 Paesi, invece è presente sul mercato con composti di litio come carbonato, idrossido, cloruro e reagenti derivati.
Il titanio è destinato a mancare già nel prossimo decennio per la massiccia crescita della domanda e l’Ucraina ne custodisce le maggiori riserve europee. Basti pensare che potrebbe soddisfare per un quarto di secolo le richieste di titanio metallico di Stati Uniti ed Unione Europea, ghiotte di quella materia per l’industria aeronautica, automotive, informatica, sanitaria. A mostrare interesse sul fronte trumpiano c’è una lunga lista di pretendenti: da una vecchia conoscenza in Sardegna la Alcoa (che a Portovesme produceva alluminio) alle meno conosciute dalle nostre parti Howmet Aerospace, Precision Castparts Corp., Arconic, ATI, Collins Aerospace, Admat, Timet, Trias, Magellan Metals, Iperion Sigma….
Il panorama dell’energia nucleare e quello della difesa esaltano l’importanza delle altre due “terre rare” che rendono appetibile l’Ucraina a livello internazionale, unica alternativa per americani ed europei a caccia di uranio e berillio. Se quest’ultimo è presente in Ucraina per un quantitativo capace di soddisfare 40 anni di fabbisogno mondiale, il 2 per cento delle riserve universali di uranio spiegano il potere contrattuale che Zelensky ha avuto con chi finora si prestava ad aiutarlo.
Adesso è Trump a dare le carte. Dopo aver visto inginocchiarsi ai suoi piedi i leader dei colossi hi-tech, il turno di genuflessione tocca ora a chi confida in una fetta della torta ucraina. A Kiev solo il ruolo di servire a tavola, nulla più.