Il senatore Claude Malhuret, medico, già sindaco di Vichy, senatore della repubblica francese, presidente del gruppo degli Indipendenti, vicepresidente della Commissione affari esteri, difesa e forze armate, il 4 marzo scorso, nell’ambito di un dibattito sulla situazione in Ucraina, si è rivolto ai suoi colleghi senatori con un discorso che ha attirato l’attenzione internazionale e innescato critiche e discussioni negli Stati Uniti.
La CNN ne ha riferito ampiamente. Il Bulletin of the Atomic Scientists ha pubblicato un articolo, dettagliando le opinioni di Malhuret, intitolato: “Per questo senatore francese, Trump è un traditore e l’Europa ora è sola”.
Il discorso ha anche scatenato un’ondata di sostegno sui social media, con molti che hanno elogiato la chiarezza e la determinazione di Malhuret. Un utente ha commentato: “Qualcuno che arriva con competenza al cuore di ciò che molti di noi che hanno a che fare quotidianamente con esso già sanno”.
Quelle di Malhuret sono quindi parole sui cui ragionare. Parole relative a una realtà che troppi, ancora, rifiutano di accettare.
Quanto da lui affermato è, quindi, opportuno proporlo in forma integrale.
“Signor Presidente, signor Primo Ministro, signori Ministri, onorevoli colleghi, l’Europa si trova in un momento critico della sua storia.
Lo scudo americano sta scivolando via, l’Ucraina rischia di essere abbandonata, la Russia rafforzata.
Washington è diventa la corte di Nerone. Un imperatore incendiario, cortigiani sottomessi e un giullare, sotto l’effetto della ketamina, incaricato di epurare la funzione pubblica.
Questa è una tragedia per il mondo libero, ma è prima di tutto una tragedia per gli Stati Uniti.
Il messaggio di Trump è che non ha senso essere suo alleato dal momento che non vi difenderà, che vi imporrà più tariffe che ai suoi nemici e vi minaccerà di prendere i vostri territori, mentre sostiene le dittature che vi invadono.
Il re dell’affare sta mostrando in cosa consiste l’arte dell’affare senza ritegno.
Pensa di intimidire la Cina sdraiandosi davanti a Putin, ma Xi Jinping, di fronte a un simile naufragio, sta senza dubbio accelerando i preparativi per l’invasione di Taiwan.
Mai nella storia un presidente degli Stati Uniti ha capitolato davanti al nemico.
Mai nessuno ha sostenuto un aggressore contro un alleato.
Mai nessuno ha calpestato la costituzione americana, emesso così tanti decreti illegali, rimosso i giudici che potevano impedirglielo, licenziato lo stato maggiore militare in un colpo solo, indebolito tutti i controlli e gli equilibri e preso il controllo delle reti social.
Non si tratta di una deriva illiberale, è l’inizio della confisca della democrazia.
Ricordiamoci che ci sono voluti solo un mese, tre settimane e due giorni per far cadere la Repubblica di Weimar e la sua costituzione.
Ho fiducia nella solidità della democrazia americana e il paese sta già protestando, ma in un mese Trump ha fatto più danni all’America che nei quattro anni della sua ultima presidenza.
Eravamo in guerra con un dittatore, ora stiamo combattendo contro un dittatore sostenuto da un traditore.
Otto giorni fa, (NdT il 28 febbraio 2025) mentre alla Casa Bianca Trump dava a Macron una pacca sulla schiena, all’ONU gli Stati Uniti votavano con la Russia e la Corea del Nord contro gli europei che chiedevano il ritiro delle truppe russe.
Due giorni dopo, nello Studio Ovale, l’imboscato dal servizio militare ha dato lezioni di moralità e strategia all’eroe di guerra Zelensky prima di congedarlo, come fosse uno stalliere, ordinandogli di sottomettersi o dimettersi.
La scorsa notte (NdT: 2-3 marzo 2025), ha fatto un altro passo verso l’infamia fermando la consegna delle armi, nonostante fossero già promesse.
Cosa fare di fronte a questo tradimento?
La risposta è semplice. Affrontarlo e soprattutto non farsi illusioni: la sconfitta dell’Ucraina sarebbe la sconfitta dell’Europa; le repubbliche baltiche, la Georgia e la Moldavia sono già in lista; l’obiettivo di Putin è quello di tornare a Yalta, dove metà del continente è stato ceduto a Stalin; i paesi del Sud attendono l’esito del conflitto per decidere se devono continuare a rispettare l’Europa, o se sono liberi di calpestarla.
Ciò che Putin vuole è la fine dell’ordine messo in posto, dagli Stati Uniti e dai loro alleati, 80 anni fa, insieme al primo principio che è il divieto di acquisire territori con la forza.
Questa idea è alla base dell’ONU, dove oggi gli americani votano a favore dell’aggressore e contro l’aggredito perché la visione di Trump coincide con quella di Putin: un ritorno alle sfere di influenza, con le grandi potenze che dettano le sorti dei piccoli paesi.
La Groenlandia, Panama e il Canada sono miei; l’Ucraina, gli Stati baltici e l’Europa orientale sono tuoi, a lui Taiwan e il Mar Cinese.
Nelle serate degli oligarchi, a Mar-a-Lago, questo si chiama realismo diplomatico.
Quindi siamo soli, ma la narrazione secondo cui non si può resistere a Putin è falsa.
Contrariamente alla propaganda del Cremlino, la Russia è nei guai.
In tre anni, il cosiddetto secondo esercito più grande del mondo è riuscito solo a strappare briciole a un paese con una popolazione tre volte minore.
I tassi d’interesse al 25 per cento, il crollo delle riserve valutarie e auree, il crollo demografico dimostrano che è sull’orlo dell’abisso.
Il sostegno degli Stati Uniti a Putin è il più grande errore strategico mai commesso in una guerra.
Lo shock è violento, ma ha una virtù. Gli europei escono dalla negazione.
Hanno capito. in un giorno, a Monaco di Baviera, che la sopravvivenza dell’Ucraina e il futuro dell’Europa sono nelle loro mani e che hanno tre imperativi.
Accelerare, perché resista, gli aiuti militari all’Ucraina per compensare l’abbandono americano e, naturalmente, per imporre la sua presenza e quella dell’Europa in qualsiasi negoziato.
Sarà costoso. Il tabù sull’uso dei beni russi congelati dovrà essere eliminato. Bisognerà aggirare i complici di Mosca all’interno dell’Europa stessa tramite una coalizione dei soli paesi volenterosi, certamente insieme al Regno Unito.
In secondo luogo, esigere che qualsiasi accordo sia accompagnato dalla restituzione dei bambini rapiti, dei prigionieri e da una garanzia di sicurezza assoluta.
Dopo Budapest, Georgia e Minsk, sappiamo quanto valgono gli accordi con Putin.
Queste garanzie richiedono una forza militare sufficiente per impedire una nuova invasione.
Infine ed è la cosa più urgente perché è quella che richiederà più tempo, dobbiamo costruire una difesa europea, trascurata dal 1945 a favore dell’ombrello americano e abbandonata dopo la caduta del muro di Berlino. Si tratta di un compito erculeo, ma è in base al suo successo o fallimento che i leader dell’Europa democratica di oggi saranno giudicati nei libri di storia.
Friedrich Merz ha appena dichiarato che l’Europa ha bisogno di una propria alleanza militare. Significa riconoscere che la Francia, per decenni, aveva ragione a perorare l’autonomia strategica. Resta da costruirla.
Bisognerà investire massicciamente, rafforzare il fondo europeo per la difesa al di fuori dei criteri di debito di Maastricht, armonizzare i sistemi di armi e munizioni, accelerare l’ingresso nell’Unione dell’Ucraina, che oggi è il primo esercito europeo, ripensare il luogo e le condizioni della deterrenza nucleare basata sulle capacità francesi e britanniche, rilanciare lo scudo antimissile e i programmi satellitari.
Il piano annunciato ieri (NdT: 2 marzo 2025) da Ursula von der Leyen è un ottimo punto di partenza e servirà molto di più.
L’Europa tornerà a essere una potenza militare solo se tornerà a essere una potenza industriale. In sintesi, il rapporto Draghi dovrà essere applicato sul serio.
Ma il vero riarmo dell’Europa è il suo riarmo morale.
Dobbiamo convincere l’opinione pubblica di fronte alla stanchezza e alla paura della guerra e soprattutto di fronte ai compari di Putin, l’estrema destra e l’estrema sinistra.
Ieri ancora, all’Assemblea Nazionale, signor Primo Ministro, si sono nuovamente pronunciati davanti a lei contro l’unità europea, contro la difesa europea.
Dicono di volere la pace.
Quello che né loro, né Trump dicono, è che la loro pace è la capitolazione, la pace della sconfitta, la sostituzione di De Gaulle-Zelensky con un Pétain ucraino sotto il controllo di Putin; è la pace dei collaborazionisti che hanno rifiutato per tre anni qualsiasi aiuto agli ucraini.
È la fine dell’alleanza atlantica?
Il rischio è grande, ma negli ultimi giorni l’umiliazione pubblica di Zelensky e tutte le decisioni folli prese nell’ultimo mese hanno finalmente fatto reagire gli americani. I sondaggi sono in calo, gli eletti repubblicani sono accolti da folle ostili nei loro collegi elettorali, persino Fox News sta diventando critica.
I trumpisti non sono più in auge. Controllano l’esecutivo, il Parlamento, la Corte suprema e i social network, ma nella storia americana i sostenitori della libertà hanno sempre vinto.
Stanno cominciando ad alzare la testa.
Il destino dell’Ucraina si gioca in trincea, ma dipende anche da coloro che negli Stati Uniti vogliono difendere la democrazia e qui dalla nostra capacità di unire gli europei, di trovare i mezzi per la loro difesa comune e di rifare dell’Europa la potenza che è stata nella storia e che è riluttante a ridiventare.
I nostri genitori hanno sconfitto il fascismo e il comunismo a costo di tutti i sacrifici, il compito della nostra generazione è sconfiggere i totalitarismi del ventunesimo secolo.
Viva l’Ucraina libera. Viva l’Europa democratica.”
Nulla da aggiungere. Solo partecipare.