Dopo questa necessaria digressione sul surreale caso italiano della residenza di Castelgandolfo di Alcide de Gasperi, vorrei ritornare su quel concetto di duplicità dell’ idea di Europa che stavamo analizzando.
Queste due idee contrapposte d’Europa, che abbiamo descritto, si ritrovano già presenti anche nel passato per esempio nei testi di Enea Silvio Piccolomini, divenuto Papa nel 1458 col nome di Pio II, che valorizzava gli elementi religiosi e culturali comuni, anche in un confronto continuo con l’Asia, e l’altra invece di un’Europa come corpo politico, che si sono protratte sino al Settecento, allorquando, nelle opere dei pensatori illuministi, l’Europa si affermava sempre più come entità civile e morale, distaccandosi dalla concezione della Repubblica christiana e dei suoi fondamenti religiosi.
E’ inoltre al XVIII secolo che risale la prima formulazione di una federazione europea, il Projet de tramite pour rendre la paix perpetuelle en Europe dato alle stampe dall’abate Charles de Saint-Pierre nel 1713, ripreso da Rousseau nel 1758 e successivamente da Immanuel Kant in , Per la pace perpetua, del 1795. Inoltre tra il 1828 e il 1830 fu François Guizot nella Histoire de la civilisation en Europe che ripercorse nel dettaglio la storia della civiltà europea, già messa a punto nel secolo precedente, individuando gli apporti dei diversi popoli, ma sottolineando il contributo della Francia che ne avrebbe rappresentato l’espressione più alta. Successivamente il Romanticismo recupera l’ideale della cristianità con Novalis, suffragando la tesi che la civiltà europea affondi le sue radici nell’età medievale.
Nella riflessione di Niccolò Machiavelli contenuta nel Principe, già si individuava nel tipo di reggimento politico un ulteriore discrimine dell’Europa che, risultava «piena di repubbliche e di principati» , come sostenuto nell’ Arte della guerra, e si distingue anche per questo dai regimi dispotici orientali.
La caratterizzazione politica, introdotta da Machiavelli, è destinata a rimanere un punto fermo nella storia dell’idea d’Europa nei secoli successivi. Parallelamente si era sviluppata una maggiore messa a punto cartografica, basti pensare all’impresa di Gerardo Mercatore nel 1554 e all’affermazione, in seguito alla scoperta dell’America, di una nuova contrapposizione culturale, si assiste alla stesura e in molti casi alla pubblicazione delle prime storie d’Europa: la Istoria d’ell Europa del 1566 di Pier Francesco Giambullari pubblicata postuma; la Ex universa historia rerum Europae suorum temporum del 1571 di Uberto Foglietta pubblicata a Napoli.
Infine è alla fine del XVI secolo, nelle Relazioni universali di Giovanni Botero del 1591 edito a Roma, prima edizione completa, che l’Europa appare chiaramente come uno spazio geopolitico e non soltanto come una sommatoria di Stati: «Questo si può ben dire hoggi dell’Europa cioè ch’ella sia piena, e quasi pregna di Dominij, e di Regni […] ella si è divisa in molti principati con tal contrapeso di forza, che non vi è potenza, che se non ha signoria fuor di Europa avanzi immoderatamente l’altre parte» come contenuto in Delle Relazioni Universali, edito a Venezia nel 1618.
Giovanni Botero è un autore veramente straordinario ed attualmente in fase di grande auge e riscoperta. Nato a Bene Vagienna in provincia di Cuneo nel 1544 si formò in un seminario gesuita a Palermo. Botero lasciò l’ordine nel 1580 e andò al servizio del cardinale Carlo Borromeo di Milano, poi Santo. Dopo la morte del cardinale nel 1584, Botero divenne il segretario personale del cardinale Federico Borromeo a Roma.
Fu durante il suo soggiorno a Roma che Botero pubblicò i suoi principali trattati. Nella sua Grandezza delle città del 1588 e nelle sue Relazioni universali del 1591-6, Botero promulga la famosa dottrina della popolazione in seguito ripresa da Robert Malthus: vale a dire, che i mezzi di sussistenza (vitus nutritiva) che interagiscono con la naturale fertilità umana (vitus generativa) determineranno l’effettivo tasso di crescita della popolazione.
Ne La Ragion di Stato Botero del 1589 espose una visione “costituzionalista” del governo, contro lo schema di Machiavelli del potere personale per il potere. Il potere del principe, sostiene Botero, si basa in ultima analisi sul potere concessogli dal popolo e la fedeltà del popolo a uno Stato è potenzialmente molto più forte di quella a un singolo principe. Di conseguenza, nell’interesse della sua stessa conservazione, il principe dovrebbe fare il più possibile per incoraggiare la “fedeltà allo Stato” nelle menti del popolo. Ciò significa cose come consacrare la consultazione, la rappresentanza, la religione, nelle istituzioni legali e politiche dello Stato, in modo da creare quella che oggi potremmo chiamare una società “di portatori di interesse”.
Allo stesso tempo, ciò significa mantenere al minimo gli interventi personali e le “grandi opere”. Di conseguenza, l’etica cristiana e altri codici di comportamento sociale non dovrebbero essere liquidati come intralci irrilevanti al governo personale del principe, ma piuttosto, essendo consacrati nelle istituzioni dello Stato, possono essere la fonte di potere più potente per il principe che deve ispirare la sua azione in particolare esercitando le virtù della prudenza e della giustizia.
In breve, limitare il potere personale e mostrare un comportamento etico alla fine ripaga facendo coincidere gli interessi del popolo con la preservazione dello Stato, e quindi la preservazione del sovrano.Nel 1599, Botero fu nominato consulente politico e tutore alla corte del Duca di Savoia. A parte una breve campagna in Spagna, Botero sarebbe rimasto a Torino per il resto della sua vita, probabilmente contribuendo in modo determinante in maniera pedagogica alla formazione dei rampolli di casa Savoia che poi riusciranno con i loro discendenti , successivamente, nell’ unificazione d’ Italia.
Sulla scorta dell’identificazione tra Europa e christianitas che si afferma dal XIII secolo, è inoltre molto significativo che, alle origini della prima formulazione in senso moderno dell’idea d’Europa, si trovi un ecclesiastico, che già è stato citato, Enea Silvio Piccolomini, poi divenuto papa nel 1458 col nome di Pio II. La sua partecipazione al concilio di Basilea tra il 1431-1449 e i numerosi viaggi come legato in Boemia, Scozia, Borgogna gli consentirono di raccogliere una messe notevole di notizie e di materiali che successivamente confluirono in alcune opere storico-geografiche tra cui il De Europa stampato più volte nel corso del XVI secolo, a partire dal 1501.
Nelle opere di Piccolomini, che fu anche un insigne umanista, l’appartenenza geografica all’Europa, lacerata nel 1453 dalla conquista turca di Costantinopoli, indica anche una relazione storico-culturale basata sulla contrapposizione con gli “altri” : i persiani, i barbari, gli infedeli e rafforzata dall’idea della crociata di tutto l’Occidente contro la minaccia musulmana. Una coincidenza, quella tra Europa e Respublica christiana, avvalorata anche da molti umanisti del XVI secolo che, dinanzi al susseguirsi delle lotte intestine nel continente, invocarono il principio cristiano della pace: da Erasmo da Rotterdam con le opere Querela pacis, Institutio principis christiani, De bello Turcis inferendo, fino a Juan Luis Vives con il De Europae statu ac tumultibus, sotto forma di lettera al papa Adriano VI nel 1522 e il De Europae dissidiis et de bello turcico del 1526, attraverso Andrés Laguna con Europa heautontimorumene nel 1543.