Tra il IV e il V secolo d.C. Agostino d’Ippona aveva già delineato nel De civitate Dei, una ripartizione occidentale e orientale del globo: «Si in duas partes orbe dividas, Orienti et Occidentis, Asia erit una, in altera vero Europa et Africa». Tuttavia, l’Occidente non appare solo come una regione del mondo, ma un luogo di civiltà in un’ottica di contrapposizione tra i barbari e quanti non lo sono, ovvero i romani.
Prima di cadere sotto i colpi delle invasioni dei popoli germanici, gli abitanti dell’impero romano erano stati in gran parte convertiti al cristianesimo. Dinanzi alla frammentazione politica dell’impero, la Chiesa si presenta quindi come la sola istituzione unitaria per i popoli che vivono in Europa.
Sebbene Carlo Magno, rex pater Europae, avesse tentato l’impresa di ricostituire l’impero romano difendendo l’unità religiosa dell’Europa anche contro l’espansionismo islamico a nord dei Pirenei, è il papato medievale a offrire alla cristianità l’unità religiosa e culturale venuta meno sul piano politico. Quando, nell’XI secolo, in seguito al Grande Scisma, si spezza l’unità religiosa tra Oriente e Occidente, i limiti geografici della christianitas assumono i contorni di un’area sostanzialmente europea, quella che per Dante Alighieri accoglie l’humanum genus , le cui strade sono rischiarate dalla luce di due soli, i poteri supremi, l’uno temporale, l’impero, e l’altro spirituale, il papato.
Alcuni significativi riferimenti all’Europa nell’opera dantesca definiscono, in maniera non sempre coincidente, un ambito geografico, da Costantinopoli, «lo stremo d’Europa» , come descritto nel Paradiso, alle colonne d’Ercole, dalle plaghe nordiche al Mediterraneo ed uno storico-culturale, al cui centro è situata la penisola d’Italia.
Se di una “coscienza europea” si può parlare a partire dall’età moderna, l’idea che l’Europa fosse un’ unità geografica e storica affonda le sue radici già nel pensiero greco, e non solo perché la denominazione del continente discende da un personaggio della mitologia ellenica , Europa appunto rapita da Zeus sotto le sembianze di un toro. Le opere di Erodoto, di Isocrate e di Aristotele rappresentano una fase di elaborazione fondamentale di alcuni dei concetti e dei valori destinati a rimanere più a lungo connessi con questa idea.
Nella contrapposizione che segnò la storia dei rapporti tra le poleis greche e l’impero persiano, e successivamente nell’età di Alessandro Magno, si andò affermando il senso di uno scontro dai connotati politico-culturali, oltre che militari, nonostante la Grecia avesse un’estensione territoriale a cavallo tra l’Europa, che presso i geografi greci aveva limiti mutevoli e non chiaramente definiti, e l’Asia si spingesse territorialmente verso l’ oriente del sole che sorge, ove si addentrò il suo più noto condottiero il macedone Alessandro Magno. Al modello greco delle città-stato si oppone quello dei regimi dispotici asiatici, i cui sudditi vengono rappresentati come moralmente deboli, destinati a soccombere dinanzi alla forza d’urto degli impetuosi eserciti ellenici.
Il mondo romano eredita sostanzialmente questa visione di un’opposizione tra Occidente e Oriente, le leggi contro l’arbitrio, la civiltà contro il disordine, nonostante in età ellenistica le ragioni di tale antitesi si fossero attenuate e avesse finito per prevalere una concezione ecumenica. Quando Roma assume chiaramente il ruolo di centro politico, evidenziando una nuova distanza con l’Asia, l’idea d’Europa, che nella cultura latina ha per lo più un significato geografico o amministrativo , si pensi alla creazione della provincia d’Europa in Tracia, proprio ai confini dell’ oriente per recuperare appieno attraverso la pregnanza simbolica che aveva per i greci in età prellenistica questo termine, arricchitosi di tutti quelli che si erano aggiunti in Occidente presso i Romani.
Possiamo dunque tranquillamente concludere dopo aver esaminato minuziosamente ed a ritroso tanti elementi che per tutte queste ragioni storiche l’Europa benché sia sempre stato un territorio che abbia compreso numerosi Stati, caratterizzati da regimi politici, assetti economici e sociali, nonchè lingue, confessioni religiose, tradizioni e costumi diversi tra loro ha delle notevoli radici comuni.
Ed accanto a tale varietà l’Europa presenta anche una pronunciata omogeneità culturale e civile che è maturata attraverso prove plurisecolari e che accomuna le differenti popolazioni stanziate in queste regioni, non vi è dunque ragione alcuna che si opponga ad una difesa comune di questi valori accumulatisi attraverso i secoli, e che questo sia cosa buona.
In particolare intorno a noi, accade quanto segue : gli Stati Uniti non vogliono più fare i gendarmi del mondo; la Cina cresce economicamente e politicamente in modo aggressivo, cercando nuovi spazi da conquistare, in primis in Africa ripetendo quello che fecero gli Stati europei tra il XVII e nel XIX secolo; la Russia e la Turchia giocano partite minacciose sul versante sud orientale dell’Europa; il mondo mussulmano, in generale, e quello arabo, più in particolare, è permanentemente scosso da continue crisi di riassestamento e da un conflitto con Israele sempre più pericoloso, a cui irresponsabilmente nessuno riesce a mettere fine; un’ Africa sempre più instabile ci farà pagare amaramente i danni provocati da secoli di miope e brutale colonialismo europeo, per la creazione di stati artificiali, per la incapacità di permettere la crescita di adeguate classi politiche locali.
La difesa comune europea, allora, non è più una pura esigenza dello spirito o l’ingenua illusione di sognatori visionari, inutilmente e malamente trascritte nel Titolo V del Trattato sull’Unione europea. La definizione realistica di linee di difesa comune nella consapevolezza delle difficoltà di una linea unitaria di comando è una impellente necessità, se si vogliono evitare nefaste conseguenze al nostro continente.