Nessuno più si sorprende. Come al solito il presidente Donald Trump ha infarcito il suo roboante annuncio dell’enorme aumento dei dazi imposti ai partner commerciali americani di falsità e dichiarazioni fuorvianti. Però non possono più essere considerate comportamenti folkloristici del personaggio perché definiscono la politica commerciale degli Stati Uniti e il sicuro aumento del costo della vita per per molti americani.
Ecco un rapida disanima delle trumpate, nell’ordine in cui le ha dette. Lista non esaustiva e incompleta, di origine Washington Post. Giusto per dare un assaggio.
“Per anni, i cittadini laboriosi americani sono stati costretti a sedersi in disparte, mentre altre nazioni diventavano ricche e potenti, in gran parte a nostre spese. Ma ora è il nostro turno di prosperare e, così facendo, usare trilioni e trilioni di dollari per ridurre le nostre tasse e pagare il nostro debito nazionale”.
Esagerazione lampante. Secondo Trump, gli Stati Uniti sono un paese povero, assediato da forze esterne. Delle due l’una: o è del tutto ignorante, oppure finge di non sapere. Gli Stati Uniti hanno il maggiore prodotto interno lordo del mondo e il loro PIL pro capite è molto più alto di qualsiasi altro grande paese. Il PIL pro capite statunitense è pari a circa 90mila dollari, rispetto ai $14mila della Cina, ai $58mila della Germania e ai $36mila del Giappone.
I dazi sono, in effetti, un aumento delle tasse, che grava pesantemente sui lavoratori a basso reddito. Gli economisti concordano sul fatto che le tariffe – essenzialmente una tassa sul consumo interno – sono pagate dagli importatori, come le aziende statunitensi, che a loro volta trasferiscono la maggior parte o la totalità dei costi ai consumatori o ai produttori che utilizzano materiali importati nei loro prodotti. Per una questione di elasticità della domanda e dell’offerta, se ci sono meno beni venduti negli Stati Uniti, i produttori esteri pagheranno parte dell’imposta. I produttori nazionali, di fatto, ottengono un sussidio perché possono aumentare i loro prezzi al livello imposto agli importatori.
Quindi, non solo è improbabile che i dazi riducano il deficit di bilancio, soprattutto se i consumi e quindi l’economia si contrae, ma è pure fantasia suggerire che il debito nazionale possa essere pagato con i dazi.
“Gli Stati Uniti addebitano agli altri paesi solo una tariffa del 2,4% sulle motociclette. Nel frattempo, la Thailandia e altri stanno applicando tariffe molto più alte, l’India il 70 per cento, il Vietnam il 75 per cento e altri ancora più alti. Allo stesso modo, fino ad oggi, gli Stati Uniti hanno applicato per decenni una tariffa del 2,5. Pensate a quel 2,5 per cento sulle automobili prodotte all’estero. L’Unione Europea ci addebita tariffe superiori al 10 per cento”.
Cifre dalla veridicità dubbia. L’India applica una tariffa del 50 per cento sulle motociclette, non del 70 per cento ed ha recentemente annunciato un taglio al 40 per cento. In ogni caso, la Harley-Davidson ha già aggirato questo problema assemblando in India la maggior parte delle motociclette vendute nel paese.
Trump sottolinea la bassa tariffa statunitense sulle auto straniere, ignorando che per più di 50 anni gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa del 25 per cento sui veicoli commerciali leggeri, cifra molto più alta della tariffa europea sulle auto.
Qualcuno dovrebbe dire a Trump che il commercio può essere reciprocamente vantaggioso. L’Unione Europea è il più grande mercato di esportazione per gli Stati Uniti. Se gli europei si vendicano, i produttori americani di denaro ne perderanno parecchio. Nel commercio internazionale alcuni paesi dominano determinati mercati e non competono in altri. I francesi hanno restrizioni commerciali sul vino statunitense, proprio come gli Stati Uniti hanno restrizioni commerciali sull’abbigliamento francese.
“Toyota vende 1 milione di automobili prodotte all’estero negli Stati Uniti e General Motors non ne vende quasi nessuna. Ford vende molto poco. Nessuna delle nostre aziende è autorizzata ad andare in altri paesi”.
Affermazione del tutto fuorviante e sostanzialmente falsa. Il fattore critico sono le forze di mercato. Le auto americane vendono poco in Giappone perché i giapponesi preferiscono modelli più piccoli e più efficienti in termini di consumo di carburante. Ai cinesi invece le auto americane piacciono molto e, contrariamente a quanto sostiene Trump, sono in libera vendita. General Motors ha venduto, fino al 2023, più auto in Cina che negli Stati Uniti. Da allora le vendite sono diminuite perché la Cina preferisce ora le auto elettriche. Non è colpa sua se la GM è rimasta indietro
“E con paesi come il Canada, sai, sovvenzioniamo molti paesi e li manteniamo in vita e in attività. Nel caso del Messico, si tratta di 300 miliardi di dollari all’anno. Nel caso del Canada, si tratta di quasi 200 miliardi di dollari all’anno”.
Numeri sbagliati. Il “sussidio” al Canada presumibilmente include i benefici militari che gli Stati Uniti forniscono all’alleato della NATO, ma le cifre comunque non tornano. Nel 2024, il deficit negli scambi di beni e servizi con il Canada è stato di circa 45 miliardi di dollari; quello con il Messico è stato di circa 172 miliardi di dollari.
“Poi nel 1913, per ragioni sconosciute all’umanità, hanno istituito l’imposta sul reddito in modo che i cittadini, piuttosto che i paesi stranieri, iniziassero a pagare i soldi necessari per far funzionare il nostro governo. Poi, nel 1929, tutto si concluse bruscamente con la Grande Depressione e non sarebbe mai successo se fossero rimasti con la politica tariffaria; sarebbe stata una storia molto diversa”.
Senza senso. L’imposta sul reddito aveva lo scopo di spostare l’onere sugli americani più ricchi, perché il costo delle tariffe ricade principalmente sulle persone a basso reddito. Un grande sostenitore di un’imposta sul reddito fu Theodore Roosevelt, un repubblicano. Per quanto riguarda la Grande Depressione, molti storici dicono che lo Smoot-Hawley Tariff Act, firmato in legge nel 1930, accentuò il rallentamento economico perché scatenò una guerra commerciale globale.
“Ma dall’inizio del NAFTA, il nostro paese ha perso 90.000 fabbriche”.
Statistica dubbia. La cifra è stata confezionata dal Census Bureau’s Business Dynamics Statistics e considera tutte le imprese manifatturiere. Circa un terzo di esse occupano quattro o meno di quattro persone, il che difficilmente le rende “fabbriche”. Gli stabilimenti manifatturieri con più di 500 persone sono scesi da 4.535 nel 2000 a 3.316 nel 2022. Si tratta di un calo di circa un quarto, ovvero 1.219 che matematici informati dicono sia molto inferiore a 90.000.
“E 5 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero sono stati persi, accumulando deficit commerciali per 19 trilioni di dollari. Quello [Accordo di libero scambio nordamericano] è stato il peggior accordo commerciale mai fatto”.
Non è responsabilità dell’accordo di scambio nordamericano, ma della Cina. Trump attribuisce la colpa al NAFTA, ma un fattore chiave nel declino dell’industria manifatturiera statunitense è stato l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. Il Congressional Research Service nel 2017 ha concluso che “l’effetto complessivo netto del NAFTA sull’economia degli Stati Uniti sembra essere stato relativamente modesto, principalmente perché il commercio con il Canada e il Messico rappresenta una piccola percentuale del PIL degli Stati Uniti”, anche se ha notato che “ci sono stati costi di aggiustamento dei lavoratori e delle imprese mentre i tre paesi si sono adattati a un commercio e agli investimenti più aperti tra le loro economie”.
“Apple spenderà 500 miliardi di dollari. Non hanno mai speso soldi del genere qui”.
Falso. Il presidente Joe Biden ha ottenuto un risultato simile. Pochi mesi dopo il suo insediamento, la Apple si è impegnata a investire 430 miliardi di dollari in cinque anni negli Stati Uniti. Al netto dell’inflazione, sono 525 miliardi di dollari.
“Se si guarda alla Cina, ho incassato centinaia di miliardi di dollari durante il mio mandato”.
Del tutto falso. Secondo la contabilità della US Customs and Border Protection, la dogana statunitense, durante la prima presidenza Trump ha incassato circa 75 miliardi di dollari di tasse su merci cinesi, la maggior parte dei quali è stata pagata dai consumatori americani.
“Loro [la Cina] non hanno mai pagato 10 centesimi a nessun altro presidente, eppure mi hanno pagato centinaia di miliardi”.
Più che del tutto falso. Le tariffe sono state riscosse sulle merci cinesi sin dai primi giorni della Confederazione americana. Nel 1789 il presidente George Washington firmò il Tariff Act, quando il commercio tra Cina e Stati Uniti era già stabilito. Dal 2009, i dazi sulla Cina hanno generato almeno 8 miliardi di dollari all’anno.
Donald, arrivati a questo punto, c’è proprio da chiedersi se ci sei o ci fai.