Durante la campagna elettorale Trump affermò che con la sua elezione la guerra in Ucraina sarebbe cessata in 24 ore. Le cose non sono andate propriamente così anche se bisogna registrare che il nuovo Presidente ha fatto molto di più in queste settimane di quanto la precedente amministrazione o l’Europa non abbiano fatto in tre anni di guerra: parlare con Putin. Cosa quanto mai naturale se si desidera porre fine ad una inutile guerra che non solo ha distrutto l’Ucraina ma ha precipitato l’Unione Europea in uno stato comatoso dal punto di vista economico e politico, in una maniera davvero senza precedenti.
Ma le aspettative, a questo punto, erano evidentemente altre; a parte la positiva telefonata tra i due Capi di Stato, le trattative non sono mai cominciate. A Riyadh è stato solo un preliminare che preannuncia tempi molto lunghi. Nel frattempo, come per la tela di Penelope, tutto quel poco che Washington riusciva a costruire, veniva sabotato dallo stesso Zelensky e dal duo Starmer – Macron. Per Zelensky il termine delle ostilità vorrebbe dire nuove elezioni e dunque una sua bocciatura certa; gli sforzi fin qui compiuti per sopprimere i partiti dell’opposizione e di addomesticare la stampa, creando un regime nel quale tutto può essere comperato grazie al fiume di soldi che generosamente USA ed Europa hanno fornito, verrebbero in un colpo solo vanificati. Anche per l’Europa, come candidamente è stato affermato anche dalla Premier Danese, la pace sarebbe una iattura; addio spese di riarmo e soprattutto come spiegare all’opinione pubblica che in tre anni non si è nemmeno provato a muoversi sulla scacchiera diplomatica?
Se Trump vuole davvero far cessare le ostilità in tempi rapidi non ha che da chiudere il rubinetto degli aiuti militari ed economici a Kiev. Del resto non sembra proprio possibile anche volendolo, chiedere nuovi finanziamenti al Congresso a maggioranza Repubblicana, per Kiev.
Nel frattempo la situazione sul campo lascia presagire una campagna di primavera della “lava russa” che lentamente ha cominciato ad ammassare truppe a ridosso della linea del fronte a Nord, zona di Sumi, al centro, Toretsk e soprattutto a Sud nell’area di Zaporizzja, dove è più probabile l’avanzata. Questo sta irritando gli americani che con il segretario di stato Rubio hanno rivolto accuse a Mosca, ma non si capisce con quali pretese visto che le ostilità non sono mai cessate.
Contemporaneamente, sul fronte del Medio Oriente la situazione è andata via via peggiorando. La politica estera americana da quelle parti coincide, anzi è fatta da Netanyahu. E’ arrivato il via libera alla ripresa del massacro dei palestinesi nella striscia di Gaza; qualche ora fa c’è stato l’appello del Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che ha denunciato il genocidio che nel silenzio generale viene perpetrato dalle forze israeliane. La contabilità dei morti ormai è impossibile e sotto le macerie rimarranno sepolti per sempre migliaia di bambini, donne, uomini, operatori della stampa e operatori delle organizzazioni umanitarie che sono diventati bersagli inermi delle bombe e proiettili dell’esercito israeliano. Le immagini di distruzione e di morte che giungono da Gaza dovrebbero essere condannate, a questo punto, senza se e senza ma. Ma così non è, evidenziando una doppia moralità occidentale che lascia davvero attoniti.
Il progetto di Israele è quello della grande Israele, non più solo dal Giordano al Mare, ma anche oltre. A Gaza ed in Cisgiordania non deve rimanere nessun palestinese; e se non si possono eliminare fisicamente tutti, si può attuare una pulizia etnica che almeno preveda la ricollocazione dei sopravvissuti presso qualche nazione del mondo disposta ad accoglierli. La ricerca come ha detto Netanyahu è attivamente in corso.
Ed in questo scenaro che si inserisce la prima guerra di Trump dopo essere stato eletto: lo Yemen.
Da settimane stanno avvenendo bombardamenti a tappeto così violenti e così in larga scala che candidamente un generale americano ha commentato: “abbiamo finito i bersagli disponibili “.
Ed allora ecco che qualunque cosa si muova sulla superfice viene attaccata e distrutta. Lo stesso Trump con un Tweet ha messo in rete un filmato nel quale si vedono numerose persone disposte in circolo, che vengono annientate poco dopo con una violentissima esplosione. Erano civili che si erano riuniti per celebrare la fine del Ramadan. Ormai il livello di tolleranza verso atti che violano qualunque trattato, convenzione, codice militare, regolamento è arrivato ad un livello di barbarie tale da far pensare davvero che siamo giunti ad un pericoloso punto di non ritorno. Per sostenere questa campagna il dipartimento della difesa americana ha già speso oltre 260 milioni di dollari: per la guerra i fondi si trovano sempre.
Ma come se non bastasse Trump, il presidente eletto per fare la pace, ha messo in cantiere una nuova possibile guerra: con l’Iran. La faccenda si sta facendo seria, e la visita di Netanyahu a Washington potrebbe essere un segnale verso questa opzione. Il 20 Marzo con una lettera a Khamenei recapitata tramite la diplomazia dell’Oman, Trump ha lanciato un ultimatum perentorio: entro due mesi, scadenza dunque il 19 Maggio, se L’Iran non abbandonerà il suo programma nucleare, eliminerà il programma relativo ai missili balistici, e non effettuerà lo stop di qualunque produzione bellica, subirà pesanti ritorsioni militari da parte americana.
Le condizioni sono molto pesanti e stringenti, tanto che sembrano costruite in modo tale, che sia quasi scontato che Teheran non le possa accettare. Alcuni analisti le hanno paragonate alle condizioni che l’Impero Austro-Ungarico impose alla Serbia nel 1914; condizioni che la Serbia peraltro accetto in larga parte ma che per l’appunto non essendo state recepite nella loro totalità, causarono lo scoppio della prima guerra mondiale.
L’arricchimento dell’Uranio iraniano è arrivato al 60%, una soglia ancora inferiore a ciò che occorrerebbe per un uso militare del nucleare, ma per Israele la questione è comunque di grande urgenza. Lo è, per la verità, almeno da 15 anni e i tentativi di sabotaggio diretti o indiretti dello sviluppo della tecnologia nucleare non si contano. Ma forse oggi siamo arrivati ad una condizione veramente ad alto rischio. La dimostrazione che chi è nella stanza dei bottoni spesso non abbia la più pallida idea sul da farsi e soprattutto sulle conseguenze che certi atti poi comportano, l’abbiamo plasticamente sotto i nostri occhi specie se li rivolgiamo a Bruselles: altrimenti non avremmo una guerra da oltre tre anni che ci logora nel più profondo. Affidarsi dunque a questa speranza per evitare un nuovo disastro potrebbe non essere saggio. Alcuni contatti diplomatici indiretti, sono in corso, ma intanto 6 B2, il 30% della flotta americana di questi bombardieri, sono stati rischierati nella remota base dell’Oceano Indiano di Diego Garcia, 3900 km da Teheran. È cominciato un ammassamento di mezzi e di materiali che potrebbe avere lo scopo di preparare un’azione dell’aviazione americana e israeliana congiunta finalizzata a distruggere i siti di lavorazione del nucleare. Impresa complicata perché tali siti sono collocati in profondità nel sottosuolo. Ed ecco perché l’utilizzo dei B2: sono bombardieri “stealth” in grado cioè di non essere visti dai radar e capaci di trasportare le GB57, bombe gigantesche di oltre sei metri di lunghezza e di 12 tonnellate di peso, che possono penetrare nei bunker sotterranei e distruggerli. L’obbiettivo potrebbe essere anche più ambizioso e cioè rovesciare il governo iraniano, decapitandolo con un attacco mirato. Naturalmente stiamo parlando di palesi violazioni del Diritto Internazionale; ma come noto in questi casi tale diritto non si applica.
Queste ipotesi di un attacco aereo massiccio, innescherebbero una reazione a catena che Israele ha già sperimentato, con l’attacco del 13 Aprile 2024, ampiamente preannunciato e solo dimostrativo, di 500 tra droni, missili cruise e missili ipersonici: questa volta un tale attacco potrebbe avere conseguente pesantissime per Israele. Inoltre, tutte le basi americane della regione sarebbero sotto tiro dei missili iraniani; di tali basi se ne contano almeno una decina tra quelle più esposte, con circa 50000 soldati americani lì dislocati, tra i quali si potrebbero registrare numerose vittime. Come la prenderebbe l’opinione pubblica americana che ha votato per un Trump che si sarebbe dovuto occupare più di questioni interne che non di Ucraina e Medio Oriente?
L’Iran non è l’Iraq: con oltre 90 milioni di abitanti ed una estensione territoriale superiore a quella di Spagna, Francia e Germania messe insieme, è un boccone troppo grande per essere distrutto da una campagna aerea che seppure poderosa, dovrebbe operare in condizioni sfavorevoli sia dal punto di vista logistico, che per le distanze da percorrere. La Russia e la Cina hanno stretto rapporti di cooperazione sempre più stretti con Teheran e l’ultimo incontro, dei tre che si sono recentemente tenuti, si svolgerà a Mosca a fine mese; vi prenderanno parte i tre Capi di Stato. Dunque una situazione quantomai esplosiva che potrebbe non solo infiammare tutta la regione ed avere contraccolpi economici significativi anche per la questione petrolifera, ma potrebbe esacerbare le tensioni geopolitiche con scenari allarmanti.
Non resta che aspettare e seguire gli sviluppi e soprattutto augurarsi che Trump faccia ciò che ha promesso ai suoi elettori, e non si lasci irretire ulteriormente dalla lobby israeliana.
La parola pace specie e soprattutto in questo periodo dovrebbe essere pronunciata più di frequente ed invece siamo come in epoche passate proiettati verso orizzonti di guerra peraltro ingiustificati. La guerra non è ineluttabile. Soprattutto oggi.