Ipnocrazia, sovraccarichi cognitivi, provocazioni verbali e se non fossero solo parole, ma una nuova realtà?
Quindi: “Trump e Caligola: uno di noi”. I paralleli politici tra i due, a parte la spietatezza violenta del secondo, sono molteplici. C’è persino e poco dopo la sua elezione, imposta dal popolo al Senato, una “pace lampo” con uno dei più potenti nemici di Roma, i Parti. Pace con alleanza conclusa in fretta e furia per potersi dedicare agli altri nemici interni ed esterni.
“Caligola uno di noi?” Che lo fosse non c’è dubbio. Il popolo, allora plebe, lo amava così come pretoriani e soldati, in mezzo ai quali era cresciuto dall’età di due anni. Tutti fedeli sostenitori che, nonostante il loro censo, per varie ragioni e astratte similitudini si immedesimava in lui, lo sentivano “uno di noi”. A dircelo è Svetonio, storico non certo filo-caligoliano: “[Si avverarono] i voti del popolo romano ed anzi del genere umano, perché era il principe sognato dalla maggior parte dei provinciali, dei soldati, molti dei quali lo avevano conosciuto da bambino, e dalla plebe romana, che era commossa dal ricordo di suo padre Germanico e di tutta la sua famiglia perseguitata”. Situazione ribadita da Filone di Alessandria, un altro storico non tenero con lui: “tutto il mondo, dall’alba al tramonto del sole, tutti i paesi da questa parte ed al di là dell’Oceano, tutte le persone romane e tutta l’Italia e anche tutte le nazioni asiatiche ed europee se ne rallegrarono”.
Una radicata solidarietà popolare che proseguì anche dopo il suo assassinio per mano di cortigiani infedeli, prima impedendo al Senato di attuare la proclamata “damnatio memoriae” e poi per ottenere vendetta o giustizia: tutti i congiurati furono imprigionati e condannati a morte. Il Senato, seppur nemico acerrimo, senza appoggio popolare, si dovette sempre piegare a lui.
Cosa vogliamo dire? Che, ci piaccia o non, sia Caligola che Trump erano o sono amati, spalleggiati e sostenuti dal popolo sia esso oggi maggioranza assoluta o relativa. Un fatto imprescindibile per il mantenimento del potere. La crisi politica era nel Senato, in tutta la classe nobiliare e nelle istituzioni.
Il rapporto comunicativo, anche se stereotipato e manipolatorio, con il popolo fu ed è un fatto strategico. Un rapporto che Caligola curò e rinforzò non solo con la retorica, ma con leggi a favore della plebe, oltre che innumerevoli elargizioni di giochi gratuiti e di denaro, persino appositamente stanziato per essere lanciato giornalmente sulla folla; qualcosa che ricorda i “premi milionari” ai votanti di Musk. Probabilmente anche il suo tentare di volersi rappresentare pubblicamente come Dio non solo anticipava la successiva divinità in vita degli imperatori romani, ma era un modo per stabilire un canale diretto con il popolo, togliendo di mezzo ogni altra consolidata ma traballante istituzione umana.
Oggi, Trump che può solo rappresentarsi come un “Unto dal Signore” (gli ha salvato la vita) ha però uno strumento in più: i social e i loro proprietari. Un mezzo che gli consente addirittura di far diventare personale il suo rapporto con i suoi sostenitori. Nella “Ipnocrazia”, l’immedesimazione diventa più facilmente “uguaglianza” non solo strumentale; gli emarginati degli States profondi, perfetti sconosciuti con lui e tra loro, nell’interazione dei “messaggini” consonanti diventano “uguali” tra loro e con lui e lui è “uno di noi”. I media classici, ormai in crisi soprattutto quelli della carta stampata, sembrano sopravvivere solo grazie all’autoreferenzialità che li propone, almeno in Italia, nelle trasmissioni televisive come “ospiti esperti”. Esperti di cosa, se non di commenti, nessuno lo sa.
E’ questo tipo di “rapporto personale” tra leader e popolo, umorale e quasi messianico, sicuramente non illuminista, che scuote la Democrazia occidentale ormai in crisi di rappresentanza, retta ancora da logiche basate sulla Ragione e l’Etica che poco sembra possano contro il Pathos. Come già ad Atene e a Roma.
In questa nuova interazione comunicativa e sociale Trump ha vinto nettamente, se non stravinto, e lo ha fatto democraticamente e secondo le regole. Primo nel voto popolare, nel conteggio dei grandi elettori, ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato, la Corte Suprema è sua. Ha vinto dicendo le stesse cose che ora al potere ripete e attua, lo ha fatto con lo stesso identico atteggiamento bizzarro, incurante di ogni consolidata forma di rispetto per gli interlocutori, persone, istituzioni o stati alleati o nemici che siano. E’ lui il Presidente che guida gli Stati Uniti, circondato da fedelissimi ossequienti, e chi gli si oppone, all’interno o all’esterno, è un nemico del Paese e va rimosso o ricondotto alla ragione trumpiana. Anche Caligola nominava solo amici nei posti chiave.
Se le istituzioni sono deboli o in crisi, chi è al potere e vuole cambiare le regole non incontra ostacoli, soprattutto se una gran parte del popolo è con lui. A quale tribunale supremo o presidio psichiatrico ricorrere per sanzionare gli errori, le scorrettezze o l’arroganza di Trump se i valori, le istituzioni e i contrappesi democratici sono in crisi?