A parte i papi martiri (sarebbero, secondo alcuni, i primi 31) e gli assassinati anche in carcere – come Giovanni X soffocato a Castel Sant’Angelo per ordine della sua amante – quelli che morivano nel proprio letto non potevano farlo da soli. Al primo sentore di agonia, infatti, iniziava, fino a qualche decennio fa, la sfilata dei prelati che tra salmi e litanie andavano a baciare la mano del pontefice ancora per poco calda.
A Francesco non è accaduto, come pure a Giovanni Paolo I. Morti, il primo senza dare il tempo ai curiali di accorgersene e il secondo nella notte.
GIOVANNI PAOLO II
Al capezzale del moribondo Wojtyla, il 2 aprile di venticinque anni, sfilavano collaboratori e dignitari salmodianti, mentre piazza in piazza la folla lo acclamava già come santo.
Ricorda il cardinale Stanislao Dzwisz, allora suo segretario particolare, che la sera di quel sabato “si congedò da cardinali, monsignori, responsabili degli uffici e volle salutare Francesco, incaricato delle pulizie dell’appartamento”.
Angelo Comastri, che era stato arcivescovo di Loreto e da poco Giovanni Paolo II lo aveva nominato arciprete della Basilica di san Pietro, racconta che, quando mons. Dwisz lo introdusse dicendo “Santità, ecco Loreto” – perché nell’antica basilica di quella città i due si erano conosciuti – il papa alzò un poco lo sguardo ed ebbe la forza di correggere “No, ecco San Pietro”, in ragione del nuovo incarico.
Intorno, tutti pregavano. Lui, stremato dai dolori di lunghe malattie, supplicò: “Lasciatemi andare al Signore” e morì. Nella stanza fu intonato il Te Deum. Non il Requiem. In piazza, la folla gridava “Viva il papa!”.
PAPA RONCALLI
Anche Giovanni XXIII, nel 1963, se ne andò con piazza san Pietro gremita di devoti afflitti e il cardinale di Roma, Luigi Traglia, che lì celebrava messa.
Al cardinale Cicognani che gli diceva come “tutto il mondo” stesse pregando per lui, il papa “buono”, rispose di ritenere naturale che soffrissero per la perdita del padre.
Arrivò subito da Milano il cardinale Montini e gli restò accanto con i curiali e con i parenti contadini del papa, che aveva accompagnato da Sotto il Monte dove abitavano.
PAOLO VI
Fu lui, Giovan Battista Montini, a succedergli col nome di Paolo VI che morì il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo seguendo, grazie alla porta aperta, la messa celebrata nella cappella privata attigua alla sua stanza. “Quasi subito dopo la consacrazione ha avuto l’infarto, un’esplosione che avveniva dentro di lui e che lo ha fatto quasi alzare dal letto…” racconta mons. Maggee uno dei segretari. Accanto c’era il cardinale segretario di stato e Camerlengo Jean-Marie Villot. Fu lui a cercare di fermare il suono della sveglia che sul comodino cominciò a suonare proprio nel momento della morte.
Poi, l’antica cerimonia nella quale il cardinale Camerlengo, chiamandolo per nome batteva tre volte la sua fronte col rituale martelletto d’argento e, non ottenendone risposta, lo dichiarava ufficialmente defunto.
Antonello Trombadori intellettuale, poeta e senatore comunista, molto vicino agli ambienti della Roma curiale, scrisse per l’occasione il sonetto “Vere mortuus est”, la frase che – secondo il rito – il Camerlengo pronunciò a costatazione del decesso:
J’è toccato al francese ciambellano
De dajje in fronte er botto cor martello
E strillà: “Mortus est e sse dia mano
A infilallo stecchito in der mantello”
IL CUORE DEI PAPI TRASPORTATO A FONTANA DI TREVI
Subito dopo, infatti avveniva la vestizione pontificale, ma prima c’era l’imbalsamazione, oggi sostituita da procedimenti chimici, per consentire l’esposizione del corpo in San Pietro:
Mò te lo fanno vède in primo piano
puro in televisione cor cappello
a ddu ‘ punte, ridotto a un coso strano.
Gli abiti pontificali e, in testa, la mitria dorata.
Fino al 1903, l’anno della morte di Leone XIII, ai papi defunti si prelevavano gli organi interni che venivano portati alla Chiesa dei santi Vincenzo e Atanasio, di fronte a Fontana di Trevi. Lì, il cuore era conservato in un’urna deposta nel Coro.
PIO XII
Un disastro fu, nel 1953, l’imbalsamazione di Pio XII ad opera del suo medico – che, peraltro, nasceva oculista – il quale volle sperimentare sul cadavere un intruglio di erbe aromatiche il cui effetto fu l’ “esplosione” del corpo all’ingresso del corteo funebre in san Giovanni in Laterano e miasmi che poco avevano di aromatico e provocarono svenimenti tra i gendarmi in guardia d’onore al catafalco nella basilica di san Pietro.
Pio XII sui media fu “fatto morire due volte” perché l’anteprima della notizia del decesso, favorita dal medico, fu venduta a tre quotidiani che uscirono in edizione straordinaria quando però il papa respirava ancora. Sarà stato il solito… diavolo che non fa i coperchi alle pentole, perché una tenda mossa per caso venne scambiata dal cronista in allerta sulla piazza per il segnale convenuto.
Pio XII morì il giorno dopo.
L’agonia avvenne con i rituali e le presenze della corte come di consuetudine, ma mai era accaduto che il medico ne vendesse la descrizione, comprese le foto del papa morente su un letto con le lenzuola sgualcite.
PIO XI
Anche per Pio XI – morto il 10 febbraio 1939, alla vigilia del decennale dei Patti Lateranensi in occasione del quale si diceva che avrebbe pronunciato la pubblica condanna del regime fascista – si parlò di strane cose a proposito dell’équipe medica, che era guidata dal professor Francesco Petacci, il padre di Claretta, la donna che amò tanto il Duce da morire uccisa insieme a lui.
Anni dopo i giornali parleranno di ipotesi di assassinio politico del pontefice e nel 1972 scoppiò pure il cosiddetto “Giallo Tisserant”, dal nome del cardinale francese cui fu attribuito un memoriale pubblicato su Paris Match. In proposito, il vaticanista scrittore Claudio Rendina riferisce: ”papa Ratti morì alle 5,31 del 10 febbraio e il monsignor Carlo Grano, su incarico del monsignor Montini, telefonò a Tisserant alle 6,20, dicendogli di affrettarsi perché il papa aveva ricevuto l’olio santo. Perché a me fu telefonato che il papa era ancora vivo?, si chiedeva il cardinale”.
BENEDETTO XV
Il predecessore di Pio XI, Benedetto XV, il 22 gennaio 1922 morì per la negligenza di un “sanpietrino”, l’inserviente che il 27 dicembre l’aveva lasciato al freddo dell’inverno, dimentico di andare ad aprire la porta della chiesa dove avrebbe dovuto celebrare. Gliene derivò la broncopolmonite che lo portò alla tomba. Anche intorno al suo letto viavai di dignitari.
Quando il cardinale penitenziere Oreste Giorgi gli chiese di benedire i parenti, “la risposta fu un piccolo segno con le dita già fredde e contratte. Ancora una richiesta: Santità benedite ora i vostri famigliari. Appena un cenno. Poi: “Santità benedite il popolo che aspetta la pace!
A queste parole, scrive Francesco Vassalli “il moribondo aperse gli occhi, si divincolò dalle braccia della morte e tre volte col largo gesto pontificale della destra, impartì la benedizione”.
IL PASSA-MANO
Così, Giuseppe Gioacchino Belli chiamava il passaggio, per morte, del potere papale dal defunto al successore.
Il papa infatti:
nun more, o, pe dì mejo, more,
ma more solamente ne l’isterno.
Chè quanno er corpo suo lassa er governo
l’anima, ferma in ne l’antico onore,
nun va né in paradiso, né all’inferno.
Passa subito in corpo ar successore.
Er papa, in quant’a ppapa è sempre quello….