C’è stato un tempo in cui essere Papa era considerato un fatto al limite della clandestinità.
In questi giorni di forti emozioni, laiche e cristiane, per la morte di Papa Francesco, la città di Roma attraversa una fase di grandi trasformazioni. Se, da un lato, le strade del centro erano già ampiamente disseminate di cantieri in previsione del Giubileo, d’altro canto l’etichetta che si confà alla celebrazione dei funerali di un pontefice ha imposto un nuovo tempo e nuovi percorsi ai cittadini e ai pellegrini. Questa modifica, immediata e necessaria, accade, in forme ora diverse, ora simili, da tempo immemore.
Il Martirologio Romano, ideato da Gregorio XIII nel XVI secolo, riportava al 26 aprile la celebrazione di San Cleto, il secondo papa, colui che resse la chiesa di Roma dopo Lino, verso la fine del I secolo. Coloro che hanno frequentato le aule di Archeologia Cristiana lo conoscono bene poiché, tra le centinaia di cose da mandare a memoria per l’esame, normalmente c’è la lista di tutti i papi di Roma, da Pietro al pontefice in carica.
Ma quando è cominciata la trasformazione architettonica di Roma in chiave cristiana? La coincidenza calendariale che commemorava Cleto squarcia in un baleno il paesaggio urbano, riportandoci a quel tempo lontano in cui, dopo secoli di carsica attività, le comunità cristiane poterono finalmente uscire allo scoperto.
Era il 313 e l’imperatore Costantino, dopo aver sconfitto Massenzio, definito da alcuni l’usurpatore, nella battaglia del Ponte Milvio nel 312, concedette la libertà di culto in tutto l’impero. I cristiani, quindi, furono finalmente liberi di professare il proprio credo. Ciò non vuol dire, naturalmente, che fossero anche improvvisamente benvoluti da una società ancora fortemente politeista e dedita alla pratica di culti diversi. Si potevano, però, celebrare le funzioni religiose legalmente e, supponiamo, senza più paura.
La madre di Costantino, Elena, devotissima cristiana nota per aver portato a Roma una reliquia della vera croce direttamente da Gerusalemme, a differenza del figlio risiedeva a Roma, negli antichi Horti Variani: una vasta proprietà situata ai piedi del Laterano. L’area era naturalmente rilevata e nei secoli dell’impero aveva ospitato verdi giardini di proprietà di aristocratici, ad esempio i Laterani (dai quali deriverebbe il toponimo attuale) e i Varii, legati al nome di Elagabalo e dei Severi.
La proprietà includeva un circo e un anfiteatro (detto Castrense) per uso privato e diversi ettari di terreno con altri edifici. Gli antichi chiamavano generalmente quest’area Horti Spei Veteris perché nel quinto secolo avanti Cristo vi era stato costruito un tempio alla dea Speranza. E come nella migliore tradizione immobiliare, le proprietà della famiglia imperiale si sono tramandate e, quindi, accumulate, nei secoli.
La madre dell’imperatore si insediò, così, nell’area ai piedi del Laterano, dove, nel frattempo, la mutata situazione politica ai confini dell’impero aveva reso necessaria la costruzione delle Mura di Aureliano (270-275). Il complesso residenziale fu definito da quel momento Sessorium e incluse due edifici a dir poco rivoluzionari: una chiesa cristiana e una cappella per reliquie. È vero, Costantino aveva promulgato l’editto che di fatto legalizzava il culto cristiano, ma la situazione a Roma era ancora piuttosto agitata per una certa insofferenza popolare ai cristiani. E così, l’unico modo per non urtare la sensibilità altrui fu costruire sui propri terreni: come avere una basilica nel proprio giardino.
La chiesa, inizialmente dedicata al Salvatore, rappresentava la prima costruzione intramuranea esplicitamente cristiana e fu dedicata nel 324 dopo una storia costruttiva lunga circa un decennio. Oggi la chiamiamo San Giovanni in Laterano. E a pochi metri di distanza, e in una diretta relazione visiva, Elena fece costruire la cappella per la reliquia della vera croce, all’interno del palazzo Imperiale riadattato dai precedenti complessi degli Horti di età severiana.
Ecco, quella Roma, intorno al Laterano fino giù verso Porta Maggiore, diventò il primo nucleo di esplicita trasformazione della città in chiave cristiana dentro le mura. Ed è stato solo primo di molti altri cambiamenti, che per mille e settecento anni hanno sagomato l’immagine di Roma fino ad oggi.