Siccome i Governi non lo dicono, l’attacco informatico che ha messo in ginocchio la penisola iberica non c’è stato.
Meglio parlare di un guasto. Meglio non capire nemmeno di quale guasto si tratti. Meglio far vedere che non si ha paura del buio…
Mentre i teenagers in queste ore consigliano di vedere Robert De Niro nella serie “Zero Day” e i loro genitori consigliano Bruce Willis in “Die Hard 4 – Vivere o morire” uscito nelle sale cinematografiche nel 2007, mi permetto di segnalare che di paralisi universali ce n’è già traccia nella vecchia pellicola “Ultimatum alla terra” del 1951.
Per avere idea del brivido che stanno vivendo in Spagna e dintorni, il cinema offre tanti spunti ma forse – come un tempo – è più appassionante ascoltare certe storie da chi come i nonni le sa raccontare meglio perché meglio le conosce.
Purtroppo non siamo dinanzi ad una brillante sceneggiatura, ma stiamo sfogliando le pagine di una cronaca che ci rifiutiamo di prendere sul serio. Comprendo lo spirito rassicurante di chi – sminuendo la caratura dei pericoli contemporanei e la drammatica vulnerabilità che contraddistingue le nostre difese – spera di mantenere la calma, ma credo che emulare gli struzzi nascondendo la testa sotto la sabbia non sia la soluzione.
L’apocalisse derivata dal collasso delle reti elettriche è la dimostrazione di una fragilità che nessuno ha mai voluto ammettere. Nel 2003 si visse una esperienza analoga con un blackout catastrofico che fermò l’Italia, facendo parlare di un albero abbattutosi su una linea aerea ad alta tensione e insegnandoci (peraltro senza che nessuno abbia imparato la lezione) l’imprevedibilità delle insidie e la necessità di immaginare ed analizzare i rischi e di studiare e predisporre idonee contromisure.
L’energia è il tallone d’Achille, primo dei vulnus che chiamiamo “infrastrutture critiche” e in cui sono contemplate le telecomunicazioni, i trasporti, la sanità e la finanza. Negli anni il processo di informatizzazione ha vivacizzato l’evoluzione del nostro vivere quotidiano e nessuno si è mai chiesto chi stesse effettivamente lavorando su macchine e programmi destinati a diventare il sistema nervoso dei vari Paesi.
Il software è stato scritto da sconosciuti spesso sottopagati, è stato comprato da aziende negriere con dipendenti sfruttati e proporzionalmente incazzati, è stato realizzato da terroristi infiltrati nei ranghi di subsubfornitori, è stato banalmente compilato con troppa fretta e troppo poca attenzione come i tanti bug non finiscono di dimostrare.
Chiunque abbia voluto piazzare una “backdoor” (ovvero una porticina segreta) nelle righe di codice di questo o quel programma lo ha fatto, garantendosi un accesso indebito per il futuro. Qualunque genio incompreso e mortificato quotidianamente ha piazzato le sue “bombe” all’interno delle procedure in esercizio nei più diversi delicati contesti, bombe a tempo pronte ad “esplodere” al trascorrere di giorni e mesi o bombe logiche destinate ad attivarsi al verificarsi di una determinata condizione…
Qualcuno dovrebbe far capire alla gente che gli attacchi hi-tech, come la vendetta, sono un piatto che si consuma freddo.
Sbaglia chi cerca di capire chi ha lanciato il sasso per infrangere la vetrina della nostra serenità. Quella pietra può esser stata scagliata chissà quanto tempo fa, quasi fosse un proiettile vagante rimesso in movimento dall’involontaria pressione liberatoria del tasto “pausa”.
Ci si domandi quanti sistemi informatici sono stati analogamente “minati” con largo anticipo, magari con azioni troppo vecchie per essere ancora conservate nei “log” che registrano e storicizzano ogni evento…
I russi, con grande calma e incredibile silenzio, hanno disseminato di trappole questo genere di campo di battaglia aspettando l’occasione propizia per andare a segno. Il prossimo “clic” chi andrà a colpire? E soprattutto si avrà ancora il coraggio di far finta di nulla e di recitare il mantra che le competenze in materia non servono?