Beniamino Presutti aveva compiuto cinquant’anni lo scorso 20 aprile. Alle 5 e 40 di domenica 28 agosto si è tolto la vita.
In tempi di depressione sociale sarebbe uno dei tanti episodi che fa girare rapidamente il foglio del giornale e passare cinicamente alla notizia successiva.
Non riesco a voltare pagina per troppe ragioni, tutte profondamente radicate.
Beniamino era un mio collega, anche se non ci siamo mai visti né abbiamo mai lavorato insieme. Vestiva però la stessa uniforme che ho indossato con orgoglio per tanti anni, credeva – come me – nel mettercela tutta per servire al meglio il nostro Paese. E’ sufficiente per dire che Beniamino era mio amico, o semplicemente mi somigliava oppure – a volar bassi – aveva qualcosa in comune con me.
Prima di farla finita facendo fuoco contro se stesso, ha sparato al sistema. Ha colpito prima il contesto che per lui era il motore della sua esistenza e il contenitore di sogni infranti, poi – quasi avesse completato la sua missione – ha fatto sua la successiva pallottola.
Occupiamoci del primo proiettile.
Beniamino lo ha fatto esplodere mettendosi alla tastiera del suo computer o impugnando tablet o telefonino. Ha voluto spiegare cosa lo ha spinto a un così disperato gesto, in modo da evitare erronee interpretazioni da parte di chi – senza mai essersi occupato di lui – si sarebbe prestato a commentare, raccontare, disquisire. Quel suo drammatico “vi dico io il perché” è il più lancinante urlo di sconforto e avvilimento.
La sua mail, indirizzata certamente alla redazione del giornale online TusciaWeb e probabilmente ad altre testate, dice testualmente “Preciso che questo mio gesto è legato esclusivamente alle vicende lavorative in quanto non ho problematiche fisiche, familiari ed economiche. Se sono arrivato a questo punto è perché nella guardia di finanza c’è una tensione altissima. La gerarchia vuole che agli occhi dell’opinione pubblica l’immagine del Corpo appaia perfetta, senza interessarsi minimamente del personale”.
Quando esce l’articolo dal frastornante titolo “Annuncia di uccidersi mandando un’email a TusciaWeb”, le chat su WhatsApp dei finanzieri (quelle tra colleghi che hanno prestato servizio in un determinato reparto, quelle dei frequentatori dei corsi di formazione e specializzazione e così via) impazziscono facendo rimbalzare il link e la tristezza dei singoli commenti all’ennesimo lutto.
La solidarietà si mescola alla constatazione che qualcosa non va, fino a quando “muore” anche il link all’articolo.
La notizia in precedenza disponibile su TusciaWeb viene misteriosamente cancellata e chi clicca viene spedito sulla homepage del giornale. Fortunatamente la “Wayback Machine” aveva catturato quella pagina e chi vuole leggerla può ritrovarla agevolmente qui.
Sarebbe interessante sapere come mai la storia è stranamente sparita, circostanza che rispecchia le parole di Beniamino Presutti quando dice che si “vuole che agli occhi dell’opinione pubblica l’immagine del Corpo appaia perfetta”.
Se i suicidi annunciati sul web sono storia vecchia e ne scrivevo su Il Fatto Quotidiano” già il 9 settembre 2014, nemmeno quelli in GdF rappresentano una novità visto che sul medesimo giornale ad inizio di ottobre del 2018 usciva il mio pezzo “Suicidi in Guardia di Finanza, malessere diffuso. Perché?”
Quel perché è rimasto senza risposta.
A distanza di troppi morti che abbiamo pianto nel frattempo e il cui destino avrebbe potuto avere differente prosieguo, si spera che qualcuno delle Istituzioni finalmente se ne occupi con la serietà necessaria.
Su tutti pesano le ultime parole di Presutti. “Ai miei funerali non voglio che ci sia la rappresentanza della guardia di finanza ma solo gli amici, in abiti civili…”
Le plateali manifestazioni farisaiche hanno finito di avere un senso, ammesso ne ne avessero mai avuto uno.