Gli appassionati di fantascienza stappano – come Marco Rizzo alla morte di Gorbaciov – la loro bottiglia migliore e si lasciano scappare un liberatorio “finalmente”.
In entrambi i casi, dalla dipartita dell’eroe della Perestroika all’ultima novità del progresso tecnologico, non c’è nulla di cui gioire.
Sapere che Google sta sperimentando con successo la possibilità di essere presenti altrove grazie a “video volumetrici” (ologrammi è un po’ riduttivo) non è una buona notizia. E’ come festeggiare le performance di un cannone che spara mille volte più veloce del concorrente o il risultato di una bomba che polverizza una città senza lasciare disordine: anche qui è in gioco la vita, quella sociale, quella delle relazioni umane, quella dello stare insieme, quella del condividere le emozioni (e non solo file e documenti elettronici).
L’ultimo infernale aggeggio è il frutto del Project Starline, una iniziativa di ricerca applicata che ha portato alla realizzazione di uno strumento utile – tra l’altro – per partecipare a riunioni a distanza con la possibilità di “materializzarsi” (si fa per dire) nella stanza in cui ci sono fisicamente i colleghi di lavoro.
Non è solo una tragedia per chi – in mutande e ciabatte sotto la scrivania – simulava un impeccabile aplomb nelle “conference call” o chi intratteneva i clienti apparentemente “in doppiopetto grigio” come recitava un vecchio slogan di un noto istituto di credito. Il dramma di una simile invenzione è nel concentrarsi sulle nuove frontiere nella consapevolezza che ogni passo percorso è un ulteriore metro che ci distacca l’uno dall’altro.
Sono un fautore del telelavoro e lo chiamo ancora così per distinguermi da chi oggi blatera di smart working senza avere reale cognizione del suo funzionamento, della sua importanza e dei suoi limiti. Non sopporto nemmeno chi parla (o legifera) di “lavoro agile” senza pensare a chi abita in 40 metri quadrati magari con due figli. Non sopporto neanche quelli che rifiutano le prestazioni lavorative a distanza senza capire che non è la modalità quella che conta, ma il risultato che ne deriva.
Non ho affatto le idee confuse. Anzi. Mi dispero (potendone fare tranquillamente a meno) nel vedere il dilagare pandemico dell’incompetenza e resto allucinato nel constatare che in questi anni difficili nessuno si è messo davvero d’impegno per studiare il modo migliore per sfruttare le tecnologie e per disciplinarne l’impiego a tutela dei diritti del dipendente e dei legittimi interessi del suo datore di lavoro.
Chi opera “da remoto” non è necessariamente un “fancazzista” e, se lo è, rimane tale anche se lo si costringe a presentarsi puntuale in ufficio e a rimanere inerte alla scrivania a guardare film porno, a chattare con gli amici, a bighellonare sui social mentre le cose da fare restano inevase , i problemi insoluti, gli obiettivi mancati.
Invece di leggere che Google riesce a far sembrare presente qualcuno che è chissà dove, vorrei trovarmi di fronte alla regolamentazione (non gratuitamente coercitiva, ma semplicemente “ragionata” e di facile applicazione) di un modo di lavorare (e non di vivere) di cui non possiamo fare a meno.
Se non se ne capisce l’urgenza – invece di cazzeggiare con le illusioni della realtà virtuale o altre simili menate – si indìca una riunione dal benzinaio all’angolo della strada, magari portandosi la sedia da casa. Vorrei vedere il prossimo Consiglio dei Ministri in plenaria ad un’area di servizio, tutti a guardare l’impiegato che nel fare rifornimento alla propria vettura è costretto a centellinare il carburante come i nostri nonni il rosolio.
Se proprio se ne vogliono negare altri vantaggi, si provi a pensare che il “lavoro agile” potrebbe dare una spallata alle spese di trasporto almeno per chi può fare il proprio dovere restando a casa… Ne guadagnerebbe l’ambiente, la quiete dove si addensano gli uffici ed altre riflessioni sarebbero conseguenti.
Qualcuno, invece, ritiene che l’invenzione di Google potrebbe stimolare positivamente i manager riluttanti a consentire lo smart working. Il pensiero di avere la figura tridimensionale della formosa segretaria cui poter ruotare attorno farebbe diventare “agile” il lavoro anche dei dirigenti…