Farsi portar via i dati degli utenti è una abitudine per Mark Zuckerberg. Qualcuno pensa che si tratti addirittura di una tradizione, una di quelle da rispettare religiosamente, una da non far mancare mai.
Tre anni fa era stato il turno di Facebook e a pagare il prezzo della mancata adozione di misure di sicurezza idonee toccò a 533 milioni di persone in giro per il mondo, di cui 32 milioni in Italia e 12.700 a San Marino.
San Marino?!? Aspettate ad esclamare “Chissenefrega di San Marino” perché l’Autorità Garante per la Privacy di quella piccola Repubblica a luglio 2021 è stata la prima (e fino a qualche giorno fa l’unica) a procedere nei confronti del colosso tecnologico che oggi è padrone di Facebook, Instagram e WhatsApp.
La sanzione pecuniaria di 4 milioni di euro (apparentemente insignificante per un gigante del web) è stata inizialmente pagata dal social network senza battere ciglio, ma subito dopo i manager alla Corte di Re Mark si sono resi conto della pericolosità della piccola sassata che Davide aveva scagliato contro Golia.
Il “ghe linse” del Balilla sammarinese è andato a segno innescando un probabile tsunami, visto che ieri, 28 novembre 2022, l’omologa autorità irlandese ha comunicato di aver chiuso la propria istruttoria e di aver comminato una sanzione di 117 milioni…
Il passaggio in giudicato del provvedimento del Garante della Repubblica di San Marino potrebbe determinare un domino di multe in tutto il pianeta. Se per 12.700 sfortunati sammarinesi l’importo è di 4 milioni, per 533 milioni di persone nelle varie Nazioni si arriva a totalizzare la cifra record di circa 166 miliardi di euro….
Così Meta Platforms Inc. si è sbrigata a presentare ricorso amministrativo dinanzi alla Autorità giudiziaria di San Marino. Rigettata l’istanza in Tribunale, il 14 dicembre si celebrerà il processo di Appello e potrebbe essere una giornata nera per il signor Zuckerberg.
I dati di Facebook vennero distribuiti – prima gratuitamente e poi a pagamento – nel deep web, con grande gioia di chi voleva trovare informazioni personali da riutilizzare per i più diversi scopi: con nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo di casa e di posta elettronica, professione, numero di telefono cellulare, effettivamente se ne possono combinare di tutti i colori in nome e per conto di qualche sventurato…
I dati sottratti stavolta a WhatsApp stanno per emergere dalle onde dello sterminato mare di Internet. Come nei casi degli affondamenti, stanno cominciando a venire a galla le prime tracce e nella fattispecie Cybernews ha pubblicato alcuni “screenshot” (o videate) in cui gli hacker hanno riepilogato la consistenza del bottino.
Probabilmente Meta tenterà di giustificare l’accaduto raccontando che non c’è stata alcuna intrusione, non si è verificata alcuna sottrazione di informazioni personali, non si è assistito ad alcuna prodezza di hacker e così via. Anziché far ricorso alle fantasiose giustificazioni (cavallette incluse) di John Belushi nelle indimenticabili sequenze di “The Blues Brothers”, salterà fuori l’ormai consueta storia dello “scraping”.
Cos’è lo scraping? Semplice, si tratta dell’acquisizione di informazioni che chiunque può trovare visitando un profilo social e copiando quel che lì è disponibile al pubblico.
Una simile operazione può essere compiuta utilizzando software che automatizzano queste penosa attività di raccolta, ma il gruppo Meta assicura di aver predisposto meccanismi di controllo volti a bloccare simili tentativi e di aver messo in campo un team specializzato per scongiurare saccheggi di quel genere.
Se (come fa scrivere lo stesso Zuckerberg sulle proprie piattaforme) è vero tutto questo e non c’è motivo di dubitarne, come è potuto succedere che dopo Facebook anche WhatsApp ha i dati personali degli utilizzatori indebitamente in circolazione in Rete?
E, siccome “non c’è due senza tre”, dobbiamo aspettarci anche lo scippo dei dati di qualche centinaio di milioni di utenti Instagram?